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Medicina a Padova nei secoli: Savonarola a corte dagli Este

Chi mai assocerebbe il cognome Savonarola ai piaceri dell’alcool? Se al casato di questi padovani illustri abbiniamo il nome di Girolamo, il predicatore e riformatore arso sul rogo a Firenze nel 1498, fatichiamo davvero a trovare un nesso. Ma risalendo di due generazioni scopriremmo che il nonno di Girolamo, il grande medico Michele Savonarola, non solo era interessato all’arte della distillazione ma ne fece un trattato, il Libellus de aqua ardenti, il primo in Occidente a descrivere il processo di produzione dell’acquavite. La cosa può stupire solo chi non tiene conto del ruolo e del profilo intellettuale dei medici (in particolare quelli di corte) nell’epoca di Michele: terapeuti, ma anche filosofi, storici, moralisti, teologi, pedagogisti, con competenze che andavano dall’astrologia alla diplomazia e, per l’appunto, all’alchimia. Un sapere vasto e multiforme, in linea con una concezione di scienza medica che intreccia cura del corpo e dell’anima, influenze celesti, aspetti religiosi: al medico valente, dunque, è richiesta una conoscenza ad amplissimo spettro. Tanto più che i maestri più insigni finiscono al servizio dei principi, per i quali costituiscono un punto di riferimento che va ben al di là dei compiti clinici; detentori di una scienza che cura le patologie, ma anche di una missione etica e didattica che li legittima a intervenire in molteplici questioni, ricevono spesso incarichi di fiducia, e adempiono alla loro funzione con scritti poliedrici, allo scopo di contribuire al benessere fisico, psicologico, morale, politico del sovrano (e di conseguenza dei suoi sudditi).

Nato intorno al 1385 da una famiglia di ricchi mercanti arrivati a Padova nel secolo precedente, Michele studia con i migliori maestri dell’epoca, tra cui Paolo Veneto. Terminati nel 1413 gli studi universitari in medicina e filosofia, dopo il matrimonio Savonarola inizia un periodo di pratica medica che gli procurerà una fama che culmina, dopo un ventennio, nella cattedra universitaria e in uffici pubblici. A Padova insegna medicina pratica straordinaria. La sua carriera è coronata, nel 1440, con la chiamata a corte da parte di Niccolo III d’Este a Ferrara: città in cui rimane fino alla morte, nel 1466, dopo essersi dedicato al servizio di Leonello e Borso d’Este.

Una concezione di scienza medica che intreccia cura del corpo e dell’anima, influenze celesti, aspetti religiosi

Gli scritti medici di Michele Savonarola si caratterizzano per un approccio marcatamente empirico, pratico, operativo: si rivolgono al malato quanto al sano, dispensando prescrizioni terapeutiche come pure consigli di prevenzione basati su stili di vita equilibrati, in senso clinico ed etico-pedagogico, sempre per conseguire un benessere armonico e complessivo mente-corpo coerente con la visione dell’epoca. Prescrizioni e consigli che si basano sull’esperienza, come testimonia il ricorso frequente ad esempi, proverbi, aneddoti. Se il capolavoro di Michele è la Practica maior, trattato che passa in rassegna tutte le patologie conosciute percorrendo l’intero corpo umano dalla testa ai piedi, il corpus savonaroliano è ampio ed estremamente variegato, abbracciando campi diversissimi. In campo medico, Michele scrive di fisiognomica, ginecologia e pediatria, tratta della peste e delle proprietà delle acque termali, parla di gotta, urine, vermi, febbri, calcoli renali ed altri temi ancora. Ma accanto alla letteratura medica, vasta ed eterogenea è quella dedicata ad altri argomenti. Ci sono gli scritti etico-politici come il De nuptiis Batibecho et Serabocha, un’allegoria che, attraverso il racconto delle nozze tra Battibecco e Loquacità, ammonisce il principe a liberarsi dei cortigiani adulatori e maldicenti; opere morali come il De sapiente et insipiente, in cui lo stesso autore, nei panni del sapiente, dispensa consigli a un aristocratico sprovveduto; per giungere addirittura a manuali normalmente riservati ad ecclesiastici, come due confessionali, “istruzioni per l’uso” sul modo di rendere la confessione in chiesa: il primo destinato agli ambienti di corte, il secondo a tutta la comunità cristiana.

Ma volendo concentrarsi sul rapporto che lega Michele Savonarola alla sua città d’origine, è indispensabile citare l’opera che le è espressamente dedicata: il Libellus de magnificis ormamentis regie civitatis Padue. Scritto durante i primi anni della sua vita ferrarese, si inserisce nel filone degli scritti elogiativi dedicati alle città, frequenti in epoca medioevale, come quelli trecenteschi di Giovanni Da Nono sempre su Padova. Nel caso di Savonarola, l’intento è di conciliare amore e orgoglio per la città natale con il rispetto per il dominio, acquisito ormai da decenni, della Repubblica Serenissima, di cui Michele è cittadino ben integrato. Un equilibrio che si esprime avallando una tradizione consolidata, secondo la quale Venezia sarebbe stata fondata dai padovani, ed elogiando, a chiusura dello scritto, la città di terra come generatrice di quella lagunare, e la seconda come attuale sostegno della prima.

Savonarola concilia amore e orgoglio per la città natale con il rispetto per la Repubblica Serenissima

Nel Libellus Savonarola elenca gli elementi che ritiene più degni di nota per l’esaltazione di Padova: dalle origini ai monumenti, dalle bellezze naturali ai personaggi illustri. Questi vengono suddivisi in otto classi, dalla categoria più elevata in giù: teologi, filosofi, poeti, storici, giuristi, medici, militi, pittori più musicisti. La rassegna di Michele comprende, tanto per le persone quanto per i luoghi, la sfera religiosa e quella profana: accanto a santi e religiosi compaiono letterati e uomini di scienza, così come ai templi si affiancano i palazzi secolari. La sua descrizione mira a lodare l’ingegno umano, la virtù, la conoscenza, costantemente privilegiate rispetto alle gesta militari, attribuendo agli stessi Padovani indole pacifica, e affermando la loro preferenza per la filosofia rispetto all’arte della guerra.

Della natura che caratterizza Padova e i suoi dintorni, Michele loda bellezze come i Colli Euganei o il corso del Brenta; degli edifici sacri, Santa Giustina e Sant’Antonio; tra i luoghi profani, cita i monumenti illustri, come il Palazzo degli Scrovegni attiguo alla Cappella, il Castello, l’ospizio del Bo, capace di duecento cavalli, le mura dalle ventiquattro porte, ma anche moltissimi angoli minori. Elenca le reliquie che sono conservate nei templi cittadini e del contado. E connota il suo ritratto con schizzi pittoreschi sul carattere dei Padovani, miti e virtuosi. Tra i tanti encomi per i suoi concittadini, Michele non manca di tratteggiarne una debolezza: l’amore smodato per il vino, trasportato in città in quantità enormi per soddisfare il fabbisogno locale. Un espediente retorico per non eccedere in elogi?
 

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