MONDO SALUTE
Medicina a Padova nei secoli: Pietro Gradenigo, la visione pioneristica dell'oftalmologia
Nella Repubblica di Venezia la società era formata da cittadini, foresti e patrizi. Ventiquattro erano le casate nobili veneziane: i Contarini, i Corner o i Querini rappresentavano parte dell’intero corpus delle famiglie più potenti e influenti della Serenissima. Tra queste c’erano anche i Gradenigo, il cui stemma rappresentava una scalinata con sette gradini su uno sfondo rosso.
Il 20 aprile 1831, proprio a Venezia, nacque Pietro Gradenigo, discendente dell’antica casata e figlio di Vettor e Teresa Tosti. Il futuro oftalmologo, che con i suoi studi avrebbe rivoluzionato una branca importante della medicina, ebbe una formazione inizialmente classica nella sua città natale, dove si dedicò assiduamente anche allo studio delle lingue straniere e frequentò l’Accademia delle Belle Arti.
A poco meno di 20 anni Gradenigo partecipò ai moti del 1848-49, che portarono alla costituzione della Repubblica di San Marco, il 22 marzo 1848. Il nuovo governo veneziano però non durò molto e, il 22 agosto 1849, la città tornò sotto il dominio asburgico. Gradenigo in quegli anni iniziò anche gli studi all’Università di Padova dove, nel marzo 1855, si laureò in medicina e chirurgia.
Quello fu un anno fondamentale nella sua carriera: oltre alla laurea infatti, conseguì anche il diploma di maestro in ostetricia e oculistica e fu nominato medico chirurgo all’ospedale di Venezia.
Gradenigo non aveva ancora concluso però la sua esperienza all’Università di Padova. Nel 1863 divenne assistente nella Clinica oculistica dell’ateneo e ne assunse la direzione dieci anni più tardi. Nello stesso periodo occupò la cattedra di oftalmogia, succedendo nell’incarico a Gian Antonio Gioppi.
Si interessò in modo particolare di chirurgia e ricostruzione delle palpebre. Durante il suo mandato di direttore, che si rivelò di grande impatto, il medico veneziano realizzò una radicale ristrutturazione della clinica, che fu dotata di una grande aula per le lezioni, una sala operatoria e di nuova strumentazione progettata in gran parte da lui stesso.
"Scritti oftalmologici del conte Pietro Gradenigo professore", volume che ancora oggi è presente nella Biblioteca medica "Vincenzo Pinali" di Padova
La caratteristica che ha fatto di Gradenigo uno dei maggiori oftalmologi della storia è stata proprio la sua capacità di innovare e sperimentare, partendo dalla capacità di creare nuovi strumenti. La sua peculiarità era quella di essere un uomo di scienza e allo stesso tempo di avere una grande abilità artigianale. Portò a Padova le tecnologie più innovative dell’epoca, e in particolare l’oftalmoscopio: inventato dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz nel 1851, fu lo strumento con cui gli oculisti, dalla metà dell’Ottocento, iniziarono a esaminare l’occhio umano. Con questo ausilio, per la prima volta, fu possibile vedere la retina in vivo. Un gran risultato: l’oftalmologia di per sé è una scienza medica di confine, infatti l’occhio è dentro l’orbita, ma embriologicamente parlando è una parte del cervello portata all’esterno.
Oltre all’introduzione di metodi all’avanguadia, Gradenigo ideò anche nuovi piccoli strumenti che potessero aiutarlo sia nella sua professione di oftalmologo che in quella di docente. Uno di questi era il termometro per la misurazione della temperatura dell’occhio: ricordava vagamente quello moderno a mercurio ed era costituito da una porzione semicircolare, contenente del liquido, che veniva inserita nel fornice inferiore, cioè tra il bulbo oculare e la palpebra, dove si adagiava perfettamente. Questa fu un’innovazione importante perché, utilizzando solo qualche goccia di anestetico, da allora fu possibile misurare la temperatura dell’occhio e così diagnosticare eventuali patologie o disturbi.
Oltre al termometro, Gradenigo introdusse anche uno strumento in grado di restituire la pressione oculare, una tecnica diagnostica detta in gergo medico “tonometria”: ancora oggi il tono oculare è un parametro fondamentale nella clinica delle malattie dell’occhio.
Sempre sua fu l’idea di costruire una speciale montatura che, in qualche modo, anticipava i moderni occhiali progressivi: possedeva due coppie di lenti, disposte una davanti all’altra, che potevano essere spostate a seconda della distanza da cui si osservava, permettendo in questo modo di variare il fuoco.
Un'ulteriore invenzione del Gradenigo fu realizzata per affrontare una delle maggiori cause delle malattie oculari dell’epoca, cioè il totale opacamento della cornea.
Quest’ultima per sua natura è trasparente, come fosse una lente sulla superficie dell’occhio: in caso di totale offuscamento, inevitabilmente la vista ne risente. L’idea del medico, come spiegato dal professore di Oftalmologia, titolare attualmente della cattedra che fu del Gradenigo, e direttore della Clinica Oculistica dell'Azienda ospedaliera di Padova Edoardo Midena, fu quella di bucare la cornea, ma il metodo necessitava di una strumentazione adeguata perché, lasciando il “foro” aperto, alta era la probabilità che i tessuti posteriori lo andassero a richiudere o che la fuoriuscita di liquidi compromettesse l’occhio.
Per risolvere il problema, pensò dunque di inserire una cannula con una sorta di protesi oculare in una delle estremità – lo ialopsifero – attraverso la quale il paziente avrebbe potuto nuovamente vedere.
Gradenigo fu anche un grande studioso e numerose furono le sue pubblicazioni scientifiche, raccolte dagli allievi Giuseppe Ovio e Mario Bonamico nell’opera intitolata Scritti oftalmologici del conte Pietro Gradenigo professore. Il suo primo lavoro, però, non fu di interesse oftalmologico, bensì riguardò Il magnetismo animale mezzo di terapeutica.
Oltre ad aver introdotto nuovi strumenti per uso clinico, come l’oftalmoscopio, che illustrò nella pubblicazione Sulla circolazione sanguigna della retina e del tratto oculare del nervo ottico studiata all'ottalmoscopio, contenuta negli Annali di ottalmologia, Gradenigo fu studioso di patologie oculari. Nel lavoro intitolato Pochi cenni sulla difterite oculare, colla relazione d'un caso osservato nel novembre decorso descrisse questa particolare malattia di cui ebbe modo di occuparsi; si interessò di tubercolosi dell’iride, illustrata nello scritto Sopra alcune rare forme di morbi oculari osservati nella divisione oculistica dell’Ospedale civile di Venezia, e del trattamento della cataratta, argomento che affrontò per diversi anni mutando anche la sua idea iniziale. Se dapprima, infatti, riteneva fosse sufficiente spostare il cristallino, in seguito gli sembrò necessario, per questo tipo di operazione, eliminarlo interamente dalla camera posteriore dell’occhio.
Gradenigo studiò, inoltre, metodi per la realizzazione della pupilla artificiale ed ebbe il grande merito di aver attualizzato le metodologie di tipo didattico. Fece ricorso alla tecnica della ceroplastica, utilizzata per creare modelli in cera che raffiguravano l’occhio umano in modo molto simile alla realtà. Le cere volute da Gradenigo rappresentavano in parte malattie oculari e in parte operazioni chirurgiche, soprattutto sulle palpebre. Queste riproducevano passo dopo passo le tappe dell’intervento ed erano utilizzate come moderno strumento di didattica.
Pietro Gradenigo morì a Padova il 1° dicembre 1904 lasciando dietro di sé una folta schiera di allievi che portarono avanti in modo attento le idee elaborate dal maestro.
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