L'opera "De re anatomica" di Realdo Colombo, conservata nella biblioteca medica "V. Pinali" - sezione antica dell'università di Padova. Foto di Massimo Pistore, particolare
Uno dei più importanti testi medici prodotti da maestri padovani fra Cinque e Seicento è sicuramente il De re anatomica: il suo autore, Realdo Colombo, è una figura affascinante, non solo per i suoi meriti scientifici ma anche perché la sua vita e la sua opera sono intrecciate, in un rapporto tormentato, con quelle del grande Andrea Vesalio.
Nato a Cremona tra il 1510 e il 1515, Realdo riceve la prima, fondamentale formazione chirurgica a Venezia alla scuola di Giacomo Antonio Lonigo che, pur non essendo medico, era assai stimato dai medici fisici. Lonigo radicava la sua pratica chirurgica in un terreno teorico saldo ma, rispetto alla medicina accademica, era più aperto alla sperimentazione e meno intimidito dall’autorità degli antichi. Consolidata una competenza chirurgica di eccellente livello (probabilmente tra 1531 e 1538), Colombo matura il desiderio di accostarsi alla formazione accademica e all’eccezionale esperienza scientifica e didattica di Andrea Vesalio, che nel dicembre del 1537 aveva ottenuto l’insegnamento della chirurgia a Padova. Qui egli si reca, nel 1538: in Vesalio, che spronava gli allievi ad accostarsi direttamente ai testi di Galeno e assumeva in sé i tre ruoli di lettore, ostensore e sector (‘incisore’), tradizionalmente distinti, Realdo trova la possibilità di corroborare e valorizzare pienamente sul piano teorico l’esperienza pratica acquisita con Lonigo.
Servizio a cura di Monica Panetto ed Elisa Speronello
Nella prima edizione della sua grandiosa opera, De humani corporis fabrica (1543), Vesalio definisce Colombo ‘intimo amico’, rivelando dunque l’esistenza di un legame che supera il formalismo accademico. Ma una fitta serie di eventi avrebbe trasformato questa amicizia in rivalità.
Nel 1543 Vesalio, recatosi a Basilea per seguire la stampa della Fabrica presso il tipografo Oporino, fu sostituito nelle annuali dimostrazioni da Colombo, che non perde l’occasione di segnalare gli errori compiuti dal suo prestigioso collega, poi puntualmente riportati nel De re anatomica. Nel dicembre del 1543, il maestro fiammingo rientra brevemente a Padova e ridicolizza l’amico di un tempo: la rivalità tra i due diventa conclamata, e si protrarrà negli anni successivi; nel 1564 Vesalio dirà che quel poco che Colombo sapeva lo doveva a lui. Andrea Vesalio ha tuttavia ormai deciso di abbandonare l’insegnamento per il ruolo di medico imperiale; nell’autunno del 1544, Realdo è stabilmente sulla cattedra patavina di anatomia. Le tappe successive della sua carriera sono ben note: chiamato a Pisa da Cosimo I de’ Medici (l’anno accademico 1545-46 lo vede titolare della cattedra di anatomia), nel 1548 è a Roma, intento al progetto di un trattato che ambisse a competere con Galeno e con la Fabrica. In una lettera a Cosimo, Colombo scrive di voler realizzare un’opera “per la quale [coloro che desiderano apprendere l'anatomia] habbino la veritade de la cosa, et che si puossa, mentre che si fa la anatomia studiarla”.
Il De re anatomica esce nel 1559 a Venezia presso il tipografo trentino Nicolò Bevilacqua, riscuotendo ampio successo. Tradotto in tedesco da Johannes Andreas Schenk nel 1608, da allora non avrà altre traduzioni, né cure filologiche, sino all’edizione con traduzione italiana uscita a Parigi nel 2014 per i tipi di “Les Belles Lettres” ad opera di un gruppo di studiosi padovani coordinato da chi scrive.
Ritratto di Realdo Colombo a sinistra e frontespizio dell'opera "De re anatomica" a destra. Foto Massimo Pistore
Nello stesso 1559 e, verosimilmente, prima di poter vedere stampato il volume, Realdo muore, mentre la sua fama e il suo prestigio come archiatra pontificio sono giunti all’apice: ne sono prova le autopsie di personaggi illustri che gli erano state affidate, fra cui quella di Ignazio di Loyola nel 1556.
Nella stesura del De re anatomica, Realdo Colombo è chiaramente ispirato da ragioni polemiche verso l’autorità dei maestri antichi e recenti. Non si tratta solo di sanare i loro errori ma di conquistare in modo pieno la verità scientifica, e di studiare con una impostazione didattica nuova, in cui l’apprendimento teorico avvenga, in modo sistematico, su base sperimentale. Nel trattato sono numerose le novità scientifiche o le rettifiche apportate alla conoscenza anatomica. Degne di nota sono le innovative osservazioni su diastole e sistole e la tanto celebre e discussa ‘scoperta’ del clitoride, che ovviamente non riguarda la sua esistenza, ma una descrizione precisa della sua struttura e della sua funzione nel processo riproduttivo. Se la scoperta della staffa, che Colombo si attribuisce, va ascritta a Gianfilippo Ingrassia (1546), sembra invece merito di Realdo aver individuato e definito con certezza come struttura nervosa la cosiddetta chorda tympani. Analogamente è di Colombo la prima descrizione inequivocabile, anche se non precisa, del nervo trocleare. Non una scoperta, ma una rilevante innovazione sul piano terminologico è invece l’introduzione del termine placenta (‘focaccia’).
Ritratto di Andrea Vesalio a sinistra e frontespizio dell'opera "De humani corporis fabrica" a destra nella Biblioteca medica "V. Pinali" - sezione antica dell'università di Padova. Foto di Massimo Pistore
Colombo è tuttavia celebre soprattutto per la scoperta della circolazione polmonare: superando la concezione di Galeno e dello stesso Vesalio, egli individua e descrive il passaggio del sangue dal ventricolo destro all’arteria polmonare (che lui chiama vena arteriosa), ai polmoni, alle vene polmonari, all’atrio sinistro e quindi al ventricolo sinistro. Benché sia ormai noto che alla medesima scoperta giunse, prima di lui, Miguel Serveto (1511-1553) nell’opera Christianismi restitutio, è indubbio che Colombo giochi un ruolo fondamentale nella trasmissione della scoperta agli anatomici successivi, soprattutto a William Harvey (1578-1657), cui si deve la vera dimostrazione della circolazione sanguigna nell’opera Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (1628).
L’idea del De re anatomica è sorta dalla pratica anatomica, come dimostra la sua stessa struttura, articolata in due parti. La prima rispecchia l’ordine che la natura ha seguito nella costruzione del corpo umano: è l’anatomia “dimostrativa”, che dalle innumerevoli osservazioni condotte sui cadaveri desume le caratteristiche universali del corpo umano. Da essa si distingue l’anatomia “analitica”, che si occupa delle varianti individuali osservate, incluse le morfologie aberranti e mostruose. Ma, al di là delle singole scoperte e innovazioni, è rilevante la visione generale di Colombo, la sua ‘retorica’ del corpo. Il grande anatomista analizza separatamente, in tre libri distinti, fegato e vene, cuore e arterie, cervello e nervi, “considerandoli alla stregua di tre sorgenti da cui partono diversi rivoli che irrigano l’intera struttura dell’uomo”; inoltre, separa la trattazione del cuore e dei polmoni. Egli, piuttosto che obbedire all’autorità degli antichi, cerca di verificare attraverso l’esperienza diretta quanto la lezione dei maestri concordi con la realtà naturale: il suo scopo è rappresentare l’edificio del corpo con uno sguardo diverso dai predecessori, uno sguardo capace di cogliere non solo le funzioni ma anche nuove connessioni tra forma e funzione.
William Harvey, “Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus” (Wellcome Images)
Come si diceva sopra, nella biografia e lungo l’opera di Colombo il rapporto con Vesalio si dipana come una storia travagliata, che vede il maestro fiammingo costante punto di riferimento polemico. Colombo attribuisce gli errori di Vesalio alla sua fervida immaginazione o alla sua visionarietà onirica. “Vesalio se l’è sognato”, dice nel secondo libro a proposito dei muscoli interni del naso di cui si parla nella Fabrica, o nel quinto libro a proposito della mascella inferiore. E tuttavia, se Colombo nomina spesso Vesalio quando lo vuole cogliere in errore, sono ben più numerosi i casi in cui se ne dimostra dipendente, in modo dissimulato. Persino la rete delle metafore, le similitudini, i riferimenti storici e alcune particolarità linguistiche rivelano che Colombo tenne la Fabrica costantemente aperta sul tavolo.
Nel De re anatomica mancano del tutto le illustrazioni. All’inizio del suo periodo romano, Colombo sperò che il suo libro potesse essere illustrato da Michelangelo Buonarroti. Di fatto l’impresa non fu possibile e l’opera rimase senza apparato iconografico. L’unica illustrazione, peraltro pregevole e attribuita a Paolo Veronese, è quella del frontespizio. In essa si vede una scena di dissezione, di proporzioni più limitate rispetto a quella del frontespizio della Fabrica. Sulla sinistra si scorge un vecchio che tiene sulle ginocchia un libro aperto; su una pagina si intravede la raffigurazione di una figura umana con il braccio alzato. Quasi certamente il libro è la Fabrica del Vesalio, collocata in posizione rilevata, a testimoniare il prestigio di un maestro che Colombo non smise mai di ammirare, idealmente dialogando con lui sino alla fine.
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