SOCIETÀ

Il principio d’insularità in Costituzione, svantaggi (e vantaggi) di vivere nelle isole

Si sta chiudendo prima del previsto la diciottesima legislatura, apertasi a marzo 2018. Pochi giorni fa vi è stato il repentino scioglimento delle camere, come nella metà dei casi finora, rispetto alla durata ordinaria prevista in cinque anni dalla Costituzione del 1948. Si moltiplicano i bilanci sia istituzionali che politici. Certo, si può dire che non vi è stata un’ampia produzione di innovative normative, il che, come noto, non è necessariamente un male, pur essendo il compito principale dell’organo legislativo per eccellenza; il male sta casomai nell’aver approvato varie discutibili leggine e quasi nessuna seria riforma organica, fra le tante attese e urgenti.  Molto ci si è dovuti occupare della conversione dei decreti dei vari (tre) governi succedutisi, spesso con voti di fiducia, oltre la metà del tempo e dei voti finali.

Molto poco in questi quasi cinque anni ci si è occupato dei precetti costituzionali inevasi (come il comma 3 dell’articolo 10 sul diritto d’asilo) e degli adempimenti imposti dalla Carta sollecitati dalla Consulta (come sul fine vita). Certo, sono state approvate alcune modifiche costituzionali: di quella connessa alla riduzione del numero degli eletti vedremo subito gli effetti, già con il voto del 25 settembre; su quella integrativa in materia di ambiente ed ecosistemi si è già ragionato; proprio negli ultimi giorni di attività è infine giunta l’introduzione del principio d’insularità, abbastanza rilevante nel merito e nel metodo per una affusolata penisola come l’Italia, circondata da tanti mari del Mediterraneo.

La legge costituzionale ha concluso il suo iter il 28 luglio 2022 e ha il seguente titolo: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità”. L’articolo 119 è lunghissimo e ha molti commi, in larga parte i primi riformulati con la riforma costituzionale del titolo V, che nel 2001 inserì il principio del federalismo fiscale (con l'obiettivo di creare uno stretto legame tra decisioni di spesa e di prelievo, diretto in teoria ad avvicinare i cittadini alle istituzioni) e tolse un previgente riferimento al Mezzogiorno e alle Isole (la cui valorizzazione doveva essere finalità prioritaria dell’intervento statale):

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (qui l’articolo continua, ma va inserita l’integrazione approvata a luglio 2022).

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.”

Dopo il quinto comma va ora considerato aggiunto il seguente testo: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”. Tutti i restanti commi restano invariati. L’integrazione sanziona la necessità di un richiamo costituzionale esplicito alla condizione d’insularità e tiene in debito conto i ritardi e i vuoti accumulati nel processo attuativo della riforma del titolo V, in particolare in materia di perequazione infrastrutturale (pur se qualcosa è stato fatto a fine 2015 sulla continuità territoriale aerea). Da decenni esiste un lungo contenzioso sia con lo Stato italiano che in relazione all’Unione europea. In sostanza si introduce ora una distinzione generale e astratta fra comuni, province, aree metropolitane e regioni italiane esistenti sul “continente” e gli stessi enti esistenti sulle isole grandi e minori (quindi non solo Sicilia e Sardegna); una distinzione motivata dalla peculiarità di tutte le isole (specificità di carattere naturalistico, culturale, storico), oltre che dai disagi e dagli svantaggi dell’insularità per donne e uomini che vi sono nati o vi risiedono (a prescindere dal fatto che possano esservi anche vantaggi), svantaggi che vanno rimossi con adeguate misure da promuovere in futuro (e che per ora non sono state “disposte”).

La proposta è nata in Sardegna, una grande regione abbastanza distante dalla terraferma, non a caso. Per la prima volta si è trattato di un progetto di legge costituzionale di iniziativa popolare che ha raccolto cinque anni fa oltre duecento mila firme (grazie anche agli emigrati sardi nelle altre regioni e all’associazione delle isole minori) ed è poi giunto in porto, dopo essere stato ufficialmente presentato al Senato il 5 ottobre 2018. Il testo originario prevedeva che fosse riconosciuto “il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità” e che venissero pertanto “disposte le misure necessarie a garantire un’effettiva parità un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili”. Il testo arrivato al primo decisivo voto è diverso, evita i riferimenti assoluti all’esclusivo “svantaggio naturale” dell’insularità e alla completa “effettiva parità”: prima approvazione all’unanimità dei 223 voti in Senato il 3 novembre 2021, poi alla Camera il 30 marzo 2022, ancora in Senato il 27 aprile 2022, definitivamente alla Camera il 28 luglio scorso (412 voti favorevoli e un solo astenuto).

Viene introdotto un “principio” di qualità non regole cogenti, ripartizioni fisse, quantità garantite: il per ora impalpabile principio d’insularità, una oggettiva diversità bioculturale che diventa un parametro generico ma vincolante per ogni disposizione normativa e amministrativa contemporanea. La logica non è ideologica: tutti gli enti pubblici e non solo lo Stato centrale hanno interesse a riconoscerlo, siano o meno isole, siano o meno sulle nostre coste marine, abbiano o meno svantaggi e vantaggi dalla propria collocazione geografica. Le isole sono altra cosa per tutti gli italiani (e forse per tutti i sapiens). Ovunque sia stata concepita la norma, riguarda non solo la Sardegna bensì ovviamente tutte le isole italiane ed è stata condivisa dai parlamentari non solo delle due grandi isole bensì ovviamente di tutte le regioni italiane. Ora è norma costituzionale della Repubblica e dello Stato.

Sulla peculiarità poco si può discutere: le isole sono ecosistemi peculiari per ogni specie vegetale e animale che vi si trovi a sopravvivere e riprodursi, come anche per tutta la distribuzione e l’evoluzione della presenza umana sul pianeta. C’è, tuttavia, sempre uno scarto fra dato scientifico e traduzione in diritti e doveri per gli umani, individualmente e collettivamente. Sugli svantaggi esistono almeno due ordine di aspetti da approfondire in sede di normative e provvedimenti conseguenti: come definirli nella qualità e come misurarli nella quantità, da una parte; se e quanto evitare l’idea teorica e pratica che vi siano solo svantaggi nell’insularità, un atteggiamento vittimistico e rivendicativo invece che identitario e propositivo.

Nel dibattito politico e giuridico nazionale i “costi” dell’insularità sono riferiti soprattutto al settore dei trasporti (maggiore complessità nelle connessioni con la terraferma, di persone servizi merci), all’ambiente (ecosistema fragile, particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e a fenomeni quali l'erosione della costa, la siccità, i flussi turistici incontrollati e la scarsità di risorse, che si collega alla dipendenza energetica con la terraferma), alla ridotta attività economica (minore diversificazione delle attività economiche, specializzazione in settori economici a limitato valore aggiunto o caratterizzati da una consistente stagionalità) e alle consistenze demografica e lavorativa. Nel diritto internazionale del Novecento il tema è stato connesso alla contesa sulla sovranità di singole isole e arcipelaghi o alla codificazione del diritto del mare. A livello europeo, l’Unione distingue le isole solo in periferiche, ultra-periferiche e d’oltremare rispetto al proprio territorio (con evidente conseguente minore attenzione al Mediterraneo) e non ha fatto molti passi in avanti con le opportune direttive specifiche.

Ben venga, dunque, la modifica costituzionale approvata in Italia: il principio d’insularità è un obiettivo apprezzabile di maggiore tutela di eguaglianza e diritti, non impone lagnoso assistenzialismo bensì riequilibrio sociale, non discrimina bensì chiede valorizzazione delle specificità, potrebbe non separare ma unire noi italiani ovunque viviamo se ragioniamo in termini di distribuzione equa e solidale che non limiti diritti e produca diseguaglianze per altri. Non si attuano le leggi a proprio “vantaggio”, si attuano per il vantaggio riconosciuto dell’intera comunità. Lo sviluppo sostenibile delle isole è essenziale per l’intero pianeta e nel nostro paese si è cominciato ad abbozzare una strategia sull’insularità. Peraltro molto qui si è già parlato di vari aspetti antropologici delle isole e della condizione insulare. Gli umani, soprattutto noi sapiens, abbiamo scelto di viverle quasi tutte, adattandoci a sopravvivervi in condizioni spesso difficili, e pure apprezzandone bene alcuni vantaggi che come evidente esistono dall’isolarsi dal “resto del mondo”, per una piccola parte o per lunghi periodi della propria esistenza.

 

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