SCIENZA E RICERCA

I record del 2023 e un involontario esperimento di geoingegneria

Nel 2023 la media della temperatura globale è stata 14,98°C, la più alta di sempre da quando si effettuano queste misurazioni, e 1,48°C più alta rispetto al periodo pre-industriale, quando ancora non avevamo iniziato a immetter grandi quantità di gas serra in atmosfera bruciando combustibili fossili.

Secondo il sistema di monitoraggio europeo Copernicus, è probabile che a febbraio 2024 si concluderà un periodo di 12 mesi in cui la temperatura media globale sarà stata più alta di 1,5°C rispetto a fine Ottocento, soglia oltre la quale la regolazione dei sistemi naturali e sociali del pianeta Terra viene fortemente compromessa.

La crisi climatica ha fatto sentire i suoi effetti sotto forma di ondate di calore, sia terrestri sia marine, di alluvioni causate da precipitazioni estreme, di lunghi periodi di siccità e di incendi: i più aggressivi sono stati in Canada e hanno prodotto il 30% di emissioni in più rispetto all’anno precedente.

La misura della temperatura media del pianeta però non dice tutto. Come ricostruito dal Washington Post, nel corso del 2023 il 40% della superficie terrestre ha ecceduto il grado e mezzo, circa il 20% ha superato i 2°C (gran parte dell’emisfero boreale, inclusa l’Europa continentale, e parte del Sud America) e il 5% addirittura i 3°C (soprattutto la regione artica, che ha esperito un’estensione dei ghiacci ai minimi storici).

Anche la temperatura degli oceani è stata insolitamente alta, persistendo a livelli record da aprile a dicembre e contribuendo a rendere più caldo anche di 0,5°C il 2023. Porzioni del Nord Atlantico hanno registrato temperature anche di 4° o 5°C sopra la media, valori talmente fuori scala che gli scienziati della North Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA, statunitense) hanno definito "più che estremi" e che sono riusciti a spiegarsi solo in parte.

La causa principale dell’innalzamento delle temperature globali è l’accumulo gas climalteranti in atmosfera. Quelli emessi dal consumo di combustibili fossili nel 2023 sono aumentati rispetto all’anno precedente, seppur di solo l’1,1%, assestandosi attorno ai 37 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. La concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto quasi le 420 ppm (parti per milione).

Al riscaldamento di origine antropica o scorso si è aggiunto un fenomeno naturale noto come El Niño, iniziato a luglio, secondo quanto stabilito dalla World Meteorological Oragnization. Si tratta di una periodica oscillazione delle correnti dell’Oceano Pacifico che comporta un riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico centro-meridionale e orientale, con conseguenze sull’assetto climatico del pianeta, in termini di temperature, venti e piovosità. L'oscillazione gemella, La Niña, quando è presente si accompagna a periodi mediamente meno caldi.

Solitamente però gli effetti di El Niño si fanno sentire l’anno successivo al suo arrivo (infatti ci si attende che il 2024 sarà ancora più caldo). Per spiegare perché il 2023 sia stato di quasi 2 decimi di grado più caldo del record precedente, fissato nel 2016, secondo molti climatologi manca un pezzo del puzzle.

Diverse ipotesi, nessuna certezza

Inizialmente è stata considerata l’eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’pai avvenuta nel Pacifico a gennaio 2022. L’esplosione ha prodotto un’enorme quantità di vapore acqueo e altri gas a effetto serra che fanno trattenere più calore all’atmosfera. Ad essi tuttavia si sono aggiunte le emissioni di solfati, particelle che si distribuiscono nella parte superiore dell’atmosfera e che riflettono la radiazione solare, compensando quella che vapore e altri gas trattengono. Il bilancio dell’eruzione vulcanica, per quanto epocale sia stata, non inciderebbe quindi sul riscaldamento del pianeta.

Sull’eccezionale riscaldamento dell’Atlantico si sono concentrati però i punti di domanda più grandi. Una spiegazione potrebbe essere l’indebolimento dei venti occidentali che solitamente tendono a rimescolare le acque mandando gli strati superficiali caldi in profondità. Un'altra potrebbe essere un minore trasporto in aria di sabbia del Sahara, che solitamente scherma le acque dalla luce del sole. Potrebbe anche esseri trattato di una combinazione dei due fattori, ma la questione che ha infuocato il dibattito tra gli scienziati è stata un’altra.

Gas inquinanti, ma raffrescanti

Tra i gas prodotti dalle attività antropiche non ci sono solo quelli che fanno trattenere calore all’atmosfera, come anidride carbonica o metano. Ci sono anche gas inquinanti, nocivi per la salute umana, che tuttavia producono l’effetto di abbassare le temperature globali, contribuendo alla formazione di nuvole più brillanti che riflettono una maggiore quantità di radiazione solare, impedendo che venga assorbita dal mare. Tra questi si sono gli ossidi di azoto e, soprattutto, gli ossidi di zolfo (formula SOx) come l’anidride solforosa (SO2), che forma i PM 2.5.

Una regolamentazione del 2020 dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO, un organo delle Nazioni Unite) volta a migliorare la qualità dell’aria, ha imposto al trasporto navale di ridurre la produzione di questi aerosol inquinanti a base di zolfo: la massima componente di SO2 nei combustibili marini è dovuta passare da 3,5% a 0,5%. Da quell’anno le emissioni di SO2sono calate dell’80%, passando da poco più di 10 milioni di tonnellate annue a meno di 2,5.

Anche monitoraggi satellitari hanno rilevato l’effettivo calo di queste particelle nell’aria. Tuttavia, una serie di lavori pubblicati negli ultimi anni sembra mostrare che la conseguenza di tale riduzione sia un aumento delle temperature. La tendenza sarebbe particolarmente visibile proprio nel Nord Atlantico, dove il traffico navale è intenso.

“Non spiegherebbe tutto il riscaldamento che abbiamo visto quest’anno [2023, ndr], ma rappresenterebbe comunque un significativo contributo al riscaldamento” ha dichiarato a Science Tianle Yuan, fisico dell’atmosfera della Nasa, autore di uno degli studi.

“È come se il mondo avesse improvvisamente perso l’effetto raffrescante di una grande eruzione vulcanica ogni anno” ha commentato invece Michael Diamond, scienziato dell’atmosfera della Florida State University, autore di un altro studio che trova effetti simili a quello di Yuan.

La regolamentazione dell’IMO, in altri termini, potrebbe aver dato il via a un involontario esperimento globale di geoingegneria di cui non conosciamo i confini. Di progetti analoghi, finalizzati a ridurre il riscaldamento globale anziché aumentarlo, ne esistono già. Un’iniziativa australiana volta a preservare la grande barriera corallina ha provato a sparare in aria acqua di mare nebulizzata in modo che le particelle di sale creassero nuvole con maggiori capacità di riflettere la luce solare e abbassare la temperatura delle acque sottostanti. Questi ed altri esperimenti di geoingegneria tuttavia sono ritenuti controversi, in quanto sono difficilmente controllabili e poco prevedibili nei loro esiti.


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Un acceso dibattito tra climatologi

Se sia effettivamente la riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo la causa delle temperature record del 2023, o se a spiegarle sia sufficiente la combinazione di riscaldamento antropico e El Niño, ancora non c’è consenso tra climatologi, soprattutto tra quelli illustri. Anzi, la divergenza di vedute riguarda questioni ancora più profonde sul futuro del pianeta.

“L’umanità ha fatto un patto Faustiano barattando una sostanziale ma incerta frazione di gas serra per gli aerosol raffrescanti” ha detto di recente James Hansen, scienziato che nel 1988 per primo portò all’attenzione del Congresso statunitense il problema del cambiamento climatico. “Ora, dobbiamo pagare il prezzo di voler vedere ridotti tutti gli effetti cronici sulla salute degli aerosol. E quel prezzo è l’accelerazione del cambiamento climatico”.

Lo scorso novembre, infatti, Hansen ha pubblicato un lavoro in cui sostiene che il pianeta si stia riscaldando più rapidamente rispetto a qualche decennio fa e tra le cause ci sarebbe proprio il calo degli aerosol inquinanti, come gli ossidi di zolfo. Mentre la media del riscaldamento globale tra il 1970 e il 2010 è stata di 0,18°C per decennio, oggi sarebbe di 0,27°C, riporta lo studio.

Ritenendo quindi che oceani più caldi significhino un maggior assorbimento di energia da parte della Terra (Earth energy imbalance che cresce), Hansen e colleghi sono anche convinti che il riscaldamento globale tra pochi decenni sarà maggiore di quello predetto dai modelli dell’IPCC. Il ricorso a drastiche soluzioni di geoingegneria che contrastino l’aumento delle temperature sarebbe quindi legittimo.

In totale disaccordo è Michael Mann, altro climatologo di fama mondiale, paladino della lotta al negazionismo e alla disinformazione climatica, così come ai conflitti di interesse delle grandi aziende petrolifere che li hanno alimentati.

In un commento pubblicato sul suo sito, Mann sostiene al contrario che il riscaldamento globale, per quanto stia provocando effetti catastrofici, non stia accelerando la sua corsa: the truth is bad enough scrive, “la verità è già brutta abbastanza”. Circa il 90% dello sbilanciamento energetico della Terra viene già assorbito dagli oceani, che hanno iniziato a scaldarsi già da diversi decenni e non solo di recente: Mann lo sostiene in un lavoro appena pubblicato su Advances in Atmospheric Sciences, di cui è co-autore. Il tasso di riscaldamento globale dovrebbe quindi rimanere costante e quello osservato rientra pienamente nelle predizioni dei modelli dell'IPCC, sostiene.

La riduzione degli aerosol inquinanti dei combustibili navali non sarebbe poi sufficiente a spiegare l’aumento di temperature osservato, anche perché la maggior parte di quel tipo di emissioni verrebbe non dal mare ma dalla terra: dalle centrali a carbone. Guardando alla letteratura esistente, così come secondo un’analisi di Carbon Brief, la regolamentazione dell’IMO che riduce le emissioni di SO2 potrà contribuire ad aumentare il riscaldamento globale di 0,05°C entro il 2050.

Mann rimprovera anche a Hansen una certa retorica catastrofista, adottata spesso da quelli che chiama inazionisti climatici (coloro che rallentano o impediscono la transizione ecologica), che ripete l'adagio: "la situazione è così gravi che qualsiasi intervento non servirebbe a nulla". Ogni riduzione delle emissioni invece fa la differenza tra un mondo vivibile e uno invivibile: ogni decimo di grado conta

È molto critico anche rispetto all'avallo dell'approccio geoingegneristico, altra strategia cavalcata delle Big Oil che usano la promessa della soluzione tecnologica (come anche la cattura della CO2) per far sparire il problema senza modificare lo status quo, consentendo cioè di continuare (business as usual) a consumare gas, petrolio e carbone.

La scienza, anche quella del clima, è fatta di confronti, anche accesi, tra ipotesi concorrenti e tra visioni diverse. Il consenso della comunità è quello che conta, ma spesso è un lusso che viene guadagnato solo dopo decenni di duro lavoro, a volte secoli, se si pensa a quanto si è dibattuto sulla natura della luce, corpuscolare o ondulatoria che sia. La storia della scienza non è altro che la storia dei dibattiti tra scienziati, ipotesi e teorie che si sono succedute nel tempo.

Il consenso scientifico è merce rara e preziosa, per questo dobbiamo fare tesoro di quello che abbiamo conquistato. In climatologia è unanime quello che indica i combustibili fossili come di gran lunga i principali responsabili del riscaldamento globale. Per arrestarlo occorre ridurre drasticamente il consumo di gas, petrolio e carbone e su questo si devono concentrare i migliori sforzi della società e della politica.

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