SCIENZA E RICERCA

Shi Zengli: "La pandemia non è partita da Wuhan". E chiede agli Usa di scusarsi

Nelle ultime sei settimane il numero di casi di coronavirus nel mondo è quasi raddoppiato. Il 14 giugno erano circa 8 milioni i casi registrati e a fine luglio sono stati superati i 16 milioni. L’accelerazione della pandemia è stata impressionante. Dopo le più di 70.000 infezioni giornaliere negli Stati Uniti l’aumento dei casi sembra iniziare a rallentare. Una dinamica analoga si spera di vederla in Brasile, mentre preoccupa l’impennata dell’India, verso i 50.000 casi giornalieri. Ancora critica la situazione in Messico, Perù e Sud Africa. In Europa la Spagna è tornata a toccare la scorsa settimana i 2000 casi quotidiani, la Francia i 1.000 e la Germania è restata stabilmente sopra i 500. Brusco aumento anche in Romania, sopra i 1.000 casi al giorno, e nei Balcani.

In Italia si accendono nuovi focolai, ma le infezioni vengono contenute tra le 200 e le 300. Nel frattempo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’università Statale di Milano, pubblicato il 10 luglio su MedRxiv (prima firma di Alessia Lai e che vede Massimo Galli tra gli autori) mostra che in Italia si è prevalentemente diffuso un solo ceppo virale, quello che da Shanghai è arrivato in Germania intorno al 20 gennaio e che da lì ha raggiunto gli altri Paesi europei prima e che poi ha attraversato l’Atlantico sbarcando nelle Americhe.

Come spiegato in un comunicato diramato dall’università Statale di Milano, lo studio ha analizzato 59 genomi virali completi provenienti dal nord e dal centro Italia (Lombardia, Veneto, Marche e Toscana, periodo considerato: febbraio - aprile) e li ha confrontati con altri genomi virali, provenienti da altri Paesi europei ed asiatici, disponibili sulla piattaforma nextstrain.org. 58 genomi virali sono risultati appartenenti tutti allo stesso lignaggio, B1 il suo nome più recente (in precedenza era stato nominato A2): la divergenza media tra i genomi era di soli 6 nucleotidi, con qualche eccezione.

Uno solo dei 59 genomi virali, proveniente da un paziente di Padova, è risultato diverso e appartenente a un ceppo ancestrale, B il nome che lo identifica, molto simile al virus diffusosi a Wuhan e a quello che era stato individuato nei due turisti cinesi ricoverati a fine gennaio all’Istituto Spallanzani di Roma. Curiosamente il paziente padovano ha riportato di non aver viaggiato a Wuhan né di aver avuto contatti con individui provenienti dalla provincia dell’Hubei.

Tutti e 59 i genomi virali avevano invece la mutazione G614 della proteina Spike che rende il virus più aggressivo rispetto alla sua forma non mutata (D614). Uno studio pubblicato a inizio luglio su Cell mostrava che entrambe le mutazioni (G614 e D614) sono arrivate in Europa, ma poi quella che rende il virus più facilmente trasmissibile è stata favorita dalla selezione naturale.

Sebbene dunque il primo focolaio individuato al mondo sia stato quello di Wuhan, il ceppo virale che oggi è responsabile della pandemia da CoVid-19 non è quello diffusosi a Wuhan. E probabilmente Sars-CoV-2 non è nemmeno originato a Wuhan o nella provincia di Hubei.

A sostenerlo in un recente intervento su Science è Shi Zengli, virologa cinese tra i maggiori esperti mondiali di coronavirus dei pipistrelli e per questo ribattezzata Bat-woman (donna pipistrello). Shi Zengli dirige un gruppo di ricerca dello Wuhan Institute di Virologia ed è stata tra i primi a pubblicare su Nature a febbraio la sequenza completa di Sars-CoV-2.

Quando ci si è accorti della presenza del virus a Wuhan i riflettori sono stati puntati sul mercato del pesce di Huanan. Circa metà dei pazienti infettati avevano avuto contatti con quel mercato e il team del laboratorio di Shi Zengli aveva trovato tracce virali sulle maniglie delle porte, sul pavimento e nelle fogne del mercato, ma non negli animali. Tuttavia, successivi lavori hanno mostrato che il 45% dei primi individui contagiati non ha avuto alcun contatto con il mercato.

Secondo Shi, il mercato del pesce di Huanan potrebbe essere stato solo un luogo affollato in cui è stato trovato il primo focolaio di nuovo coronavirus, ma non l’origine della pandemia.

Negli ultimi 15 anni Shi Zengli ha studiato più di 2.000 coronavirus dei pipistrelli, identificati nel suo laboratorio a partire da sequenze genetiche estratte dai campioni di feci e saliva degli animali prelevati sul campo. Fu lei che nel 2005, assieme al suo allievo Peter Daszak (oggi presidente della EcoHealth Alliance e già membro dell’Oms in tema di zoonosi emergenti), mostrò con una pubblicazione su Science che il virus del 2003 della Sars proveniva dai pipistrelli ed aveva fatto il salto di specie arrivando all’uomo tramite lo zibetto (Paguma larvata, un mammifero carnivoro della famiglia dei viverridi). Fu sempre lei a capire, nel dicembre 2019, che anche Sars-CoV-2 proveniva dai pipistrelli e che è arrivato all’uomo tramite un ospite intermedio non ancora identificato con certezza (si sospetta il pangolino). “Prima di allora, non siamo mai entrati in contatto né abbiamo studiato questo virus, né eravamo a conoscenza della sua esistenza” ha scritto nel documento inviato a Science.

Così dicendo la scienziata cinese si difende dalle accuse, alimentate anche dallo stesso presidente degli Stati Uniti Donald Trump che si ostina a riferirsi al “virus cinese”, che hanno additato l’Istituto di virologia di Wuhan come responsabile della fuga del virus dal laboratorio di massima sicurezza. Secondo alcuni potrebbe essersi trattato di un incidente involontario, secondo i più sospettosi addirittura di un’azione premeditata che presuppone l’ingegnerizzazione genetica del virus.

Un paper pubblicato a marzo su Nature Medicine ha definitivamente escluso l’ipotesi dell’ingegnerizzazione genetica analizzando le sequenze virali, che sono risultate avere mutazioni compatibili esclusivamente con un’evoluzione in natura e non con ritocchi in laboratorio.

L’ipotesi della fuoriuscita accidentale del virus dal laboratorio invece ha a lungo tormentato anche la stessa Shi Zengli, come ha confessato in un’intervista rilasciata a marzo a Scientific American, facendole passare diverse notti insonni. La fuoriuscita accidentale di virus da laboratori anche di massima sicurezza non è un fenomeno raro, è già accaduto diverse volte in passato, anche studiando il virus della Sars dopo la sua scoperta.

Shi Zengli ha raccontato di aver freneticamente passato in rassegna tutto il database del suo laboratorio, con i dati degli ultimi anni, senza trovare nessuna sequenza virale che corrispondesse a quella di Sars-CoV-2: “questo mi ha levato un enorme peso dalla mente” ha detto.

Negli ultimi anni all’interno del laboratorio dell’Istituto di virologia di Wuhan sono state studiate sequenze genetiche di 3 coronavirus imparentati con quello della Sars del 2003, e un coronavirus (quello trovato nel 2019 nel pipistrello a ferro di cavallo) imparentato per il 96,2% del suo codice genetico con quello che causa la malattia CoVid-19. Tuttavia, anche quest’ultimo non è che un parente evolutivo di Sars-CoV-2, come conferma un recente lavoro su Nature Microbiology. Inoltre, dichiara Shi Zengli, tutto il personale del suo laboratorio è risultato negativo al test, rendendo remota anche l’ipotesi che qualcuno possa aver contratto il virus all’interno dell’Istituto e lo abbia trasmesso una volta fuori.

Shi Zengli quindi respinge, argomentando punto per punto, le accuse che vorrebbero l’Istituto di virologia di Wuhan dietro l’esplosione della pandemia. E lo fa rivolgendosi direttamente a Trump: “Le accuse del presidente degli Stati Uniti Trump secondo cui Sars-CoV-2 è fuoriuscito dal nostro istituto contraddicono totalmente i fatti”. E aggiunge: “Tutto ciò dirotta e minaccia il nostro lavoro accademico e la nostra vita privata. Ci deve delle scuse”.

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