SCIENZA E RICERCA

Alla ricerca di una teoria unificata per la biologia evoluzionistica

Scott Gilbert è uno dei massimi esperti mondiali di biologia dello sviluppo. È suo, assieme a David Epel, un testo di riferimento per le ultime due generazioni di biologi evoluzionisti, Developmental Biology, del 1985. I suoi lavori hanno contribuito alla fondazione dell'Evolutionary developmental Biology, l'Evo-Devo, e alla sua successiva estensione, l'Eco-Evo-Devo (Ecological evolutionary developmental biology, 2009), disciplina che considera l'influenza dei fattori ambientali nei sistemi di sviluppo degli organismi.

Professore emerito allo Swarthmore College in Pennsylvania e all'università di Helsinki, domenica 1 settembre ha inaugurato l'ottavo congresso della Società italiana di biologia evoluzionistica (Sibe 2019) con un intervento incentrato sui rapporti simbiotici tra organismi viventi e sul concetto di olobionte. La lectio è stata tenuta in ricordo di Nicola Saino, ordinario di ecologia della Statale di Milano, mancato lo scorso maggio: si occupava degli effetti del cambiamento climatico sulle migrazioni e sulla selezione sessuale negli uccelli.

Intervista a Scott Gilbert, biologo tra i padri dell'Evo-Devo che ha inaugurato l'ottavo Congresso della Società italiana di biologia evoluzionistica

La biologia dello sviluppo è stata protagonista di una piccola rivoluzione, nella seconda metà del Novecento, all'interno della biologia evoluzionistica. Negli anni '30 e '40 del XX secolo è stata delineata quella che è passata alla storia come Sintesi Moderna, la fusione disciplinare tra la teoria ecologica Darwiniana (selezione naturale e discendenza con modificazioni) e la teoria genetica mendeliana. Nascevano in quegli anni le basi matematiche e statistiche della genetica delle popolazioni, che ha avuto proprio in quegli anni i suoi padri fondatori (Fisher, Dobzhansky, Morgan, Haldane tra gli altri) e alcuni illustri esponenti nei decenni a seguire. Tra questi ultimi Montgomery Slatkin, dell'università di Berkeley, a cui verrà consegnato mercoledì 4 settembre il Premio Sibe 2019, alla sua prima edizione, in onore di Luigi Luca Cavalli Sforza.

Ma la teoria dell'evoluzione è essa stessa un sistema in evoluzione e in quanto tale si aggiorna, si arricchisce di nuovi contributi. Se i genetisti delle popolazioni si occupano di calcolare come cambiano le frequenze geniche (ovvero la distribuzione di tratti genetici in una popolazione) da una generazione all'altra, i biologi dello sviluppo studiano come l'informazione genetica si traduca in organismi in carne e ossa, indagano i meccanismi che consentono all'embrione di diventare un individuo adulto. La rivoluzione della biologia dello sviluppo è stata quella di far comprendere che la selezione naturale non agisce semplicemente sui singoli geni, ma su interi “moduli di sviluppo” e dunque su complesse reti di interazioni genetiche, biochimiche e metaboliche, che vengono trasmesse di generazione in generazione e che sono esse stesse soggette a variazione.

"Esistono due forme di creatività al lavoro in evoluzione" spiega Scott Gilbert in questa intervista. "Lo sviluppo incarna la forma creativa di un artista, genera qualcosa di nuovo. La selezione naturale ha la creatività di un curatore, stabilisce cosa va messo insieme, cosa sopravvive, e cosa viene messo da parte in magazzino".

Un po' come avviene in fisica, dove si sta cercando una sintesi tra teoria gravitazionale (della relatività) e teoria quantistica, oggi la sfida più grande della biologia evoluzionistca è quella di tenere insieme i diversi livelli a cui avvengono le variazioni che influiscono sugli organismi (genetico, epigenetico, di sviluppo, ambientale), conciliandoli con l'azione della selezione naturale. Uno dei campi di ricerca più promettenti secondo Scott Gilbert riguarda lo studio delle interazioni tra l'organismo vivente e il suo microbiota, i miliardi di microrganismi che lo abitano.

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