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Medicina a Padova nei secoli: Bruno da Longobucco

C’era una volta la medicina, la “nobile arte” di Ippocrate e di Galeno: per professarla bisognava essere molto filosofi e un poco astrologi, conoscere i classici latini e greci e saper preparare intrugli. C’era poi la chirurgia, sorella minore e negletta, spesso affidata a individui praticoni e un po’ ignoranti. Fu così per secoli, fino a quando le due discipline si riavvicinarono grazie all'opera di personalità come Ruggero di Frugardo, Teodorico di Lucca e Bruno da Longobucco, calabrese d’origine ma padovano d’adozione: uno di più grandi chirurghi del medioevo.

Anche se molti reperti archeologici sulla chirurgia antica sono sorprendenti, gli albori della chirurgia scientifica vengono di solito fatti risalire a due medici crotonesi che vissero tra il VI e il V secolo a.C., entrambi seguaci di Pitagora: Alcmeone, che aprì l’era degli studi anatomici basati sulla dissezione del cadavere, e Democede, che esercitò la professione anche a Samo e in Persia.

In seguito, soprattutto a partire dal medioevo, la chirurgia si allontanò lentamente dalla medicina per cadere nelle mani di professionisti dalle grandi abilità pratiche ma dalla scarsa preparazione teorica come flebotomi (specializzati in salassi e nella cura di piccole lesioni) e cerusici: solo successivamente ci fu un’inversione di tendenza che permise, con il sostegno delle dottrine greco-romane e arabe, un riavvicinamento della chirurgia alla medicina.

Per secoli la chirurgia fu la sorella minore e negletta della medicina, spesso affidata a individui praticoni e un po’ ignoranti

I barbieri-chirurghi in realtà durarono ancora a lungo, con il loro immaginario inquietante a base di strumenti simili a quelli di tortura e grembiuli sporchi di sangue, e certe tracce di separazione resistono tutt’ora – vi siete mai domandati perché ci si iscrive al corso di laurea Medicina e chirurgia? Sta però di fatto che uno dei momenti in cui l’arte di curare e quella di manipolare il corpo (dal greco cheir, mano, ed ergon, opera) si legano inestricabilmente è rappresentato dalla pubblicazione delle opere di Bruno: la Chirurgia magna, edita a Padova nel 1253, e la più tarda Chirurgia parva o minor, che ne rappresenta a tutti gli effetti un riassunto ad uso di studenti e professionisti.

La Chirurgia magna, come suggerisce il nome, è senza dubbio l’opera più importante ed è composta da due libri, ciascuno suddiviso in venti capitoli: nel primo vengono trattati eventi traumatici come ferite, fratture e lussazioni, mentre nel secondo l’autore si sofferma sulle altre malattie che richiedono interventi chirurgici. Nell’opera Bruno critica i medici che si rifiutano di praticare salassi e altre operazioni di “bassa chirurgia”, con l’effetto di lasciarle nelle mani dei barbieri e individui poco affidabili; affronta poi gran parte delle tipologie d’intervento allora conosciute, introducendone anche di nuove. Descrive ad esempio il drenaggio dei liquidi dalle cavità sierose o edemi localizzati (paracentesi) mediante puntura e successiva aspirazione; propone originali tecniche di sutura con l’ausilio di fili ottenuti con budello animale, seta o cotone. Da vero antesignano dell’antisepsi, afferma che in ogni ferita è necessario prima di tutto fermare l’emorragia, lasciare asciugare ed evitare la formazione di pus, contrapponendosi a Galeno che invece riteneva il pus “bonum et laudabile”; a questo riguardo il chirurgo calabrese propone anche di fasciare le ferite con bende imbevute di vino bollito, per poi portarle all’essiccazione sulla base del precetto che “il secco è più prossimo al sano, l’umido al non sano”. Si cimentò con successo nell’intervento alla cataratta, utilizzando una tecnica molto complessa, ed è uno specialista nel trattamento delle fistole anali, che con una visione molto moderna propone di aprire per intero. È infine il primo medico cristiano – e in questo è sicuramente molto più lontano dalla nostra sensibilità moderna – a occuparsi della castrazione degli uomini.

Contrapponendosi a Galeno, che riteneva il pus “bonum et laudabile", Bruno suggerisce di lasciare asciugare le ferite

Il ruolo preponderante svolto da Bruno da Longobucco nella storia della medicina è testimoniato dalla grande quantità di copie del suo capolavoro, manoscritte e a stampa, che furono prodotte in tutta Europa e sono ancora oggi presenti nelle maggiori biblioteche, oltre che dalle traduzioni dal latino all’italiano, al francese e al tedesco, a cui se ne aggiungono due in ebraico: una ad opera del rabbino veronese Hillēl ben Samuel, contemporaneo di Bruno, l'altra a cura di Jacob ben Jehuda, ebreo spagnolo del XV secolo. In particolare l'importanza della Chirurgia magna non risiede solo nell’esposizione di quella che era una sorta di summa della chirurgia dell’epoca, specialmente araba (Bruno infatti è oggi considerato uno dei maggiori rappresentanti del secondo periodo della chirurgia italiana, quello arabistico), ma anche dalla presenza di tecniche chirurgiche nuove e per molti versi sperimentali. 

Se le idee e le scoperte di Bruno ci sono chiare attraverso le sue opere, lo stesso non si può dire degli altri aspetti della sua vita. Di lui sappiamo, perché lui stesso ce ne informa, che nacque nella cittadina calabrese di Longobucco, al centro della Sila greca, e che studiò a Bologna prima di venire a Padova. Tutto il resto è avvolto dalla nebbia dell’incertezza, a cominciare dalle date esatte di nascita e di morte. Cresciuto nel Mezzogiorno d’Italia, terra ricca di cultura e di influssi classici ed arabi, Bruno approda alla chirurgia per scelta e non per ripiego: padroneggia il latino, il greco e forse anche l’arabo e l’ebraico, dato che nella sua formazione sono presenti anche i grandi autori islamici come Mesue (Yūḥanna ibn Māsawaih), Avicenna (Abū ῾Alī Ibn Sīnā), Rhasis (Muḥammad ibn Zakariyyā' arRāzī), Abulcasis (Abū l-Qāsim az-Zahrāwī), Alì Ben Abbas (Alī ben Abbās) e Serapione (Yūḥanna ibn Serapion).

Lo stile e la struttura delle sue opere dimostrano che, oltre che medico e chirurgo d’avanguardia, fu anche un grande docente, come suggeriscono anche le dediche delle sue opere, indirizzate probabilmente a due allievi (Andrea da Vicenza per la Chirurgia magna e Lazzaro da Padova per la parva). La grande stima di cui il nome di Bruno da Longobucco fu subito circondato suggerì anche di farlo figurare tra i fondatori dell’università di Padova nel 1222, ipotesi questa non verificabile e anzi molto improbabile: tuttavia la sua presenza in Città è comunque importante perché cade nel pieno della tirannide di Ezzelino da Romano, costituendo un indizio importante di una qualche forma di sopravvivenza e di funzionamento dello Studio durante quel periodo difficile. Un elemento che non fa che confermare l'importanza della figura di Bruno, uno degli iniziatori e dei primi grandi maestri della scuola padovana di medicina.

 

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