CULTURA

Virginia Picchini, partigiana e protagonista della Resistenza

Come ogni anno il 25 aprile è l’occasione non solo per celebrare la Liberazione del Paese dal nazifascismo, ma anche per riscoprirne aspetti noti e meno noti, come ad esempio quello costituito dalla rete di partigiani che si adoperò per aiutare l’avanzata delle truppe di liberazione e per favorire la fuga e la clandestinità di tanti ebrei, perseguitati politici e prigionieri di guerra alleati imprigionati nei lager in Veneto.

Una storia costellata di figure come quella di Virginia Picchini, spentasi l’8 dicembre 2020 pochi giorni dopo aver compiuto 100 anni. “Credevo d’essere eterna”, scrisse ella stessa su un foglietto poco prima di spirare serenamente: epitaffio degno di questa “donna bellissima e ottima sciatrice, che non temeva di valicare le montagne per compiere le sue missioni”, rischiando la vita per la Resistenza (come scrissero le partigiane Mirella Alloisio e Giuliana Beltrami Gadola nel libro Volontarie della libertà, pubblicato a Milano nel 1981).

Nel periodo più drammatico della storia plurisecolare dell’università di Padova la sua vita si intrecciò con quelle del rettore Marchesi e del prorettore Meneghetti. Veneziana, laureata a Padova durante la guerra e aderente a “Giustizia e Libertà”, fu tra i giovani che nel 1943-45 riconquistarono a carissimo prezzo l’onore perduto dall’ateneo nel 1938, quando fu tradita l’antica patavina libertas garantita nel suo motto con la cacciata degli studenti e dei professori ebrei. Per merito loro l’università di Padova, unica fra tutte, ricevette la medaglia d’oro al valor militare.

Fin dall’autunno 1943, iniziata la durissima occupazione militare nazista cui era asservito il risorto governo fascista collaborazionista, la dottoressa Virginia Picchini si attivò con un gruppo di compagni universitari tra i quali spiccavano Gianfranco de Bosio, Teresa Martini e la sorella Lidia. Compagno di parecchie missioni fu Armando Romani, che sposò subito dopo la guerra. Romani, milanese, ex ufficiale pilota all’aeroporto di Padova, sviluppò con padre Placido Cortese, dei Frati Minori Conventuali della Basilica di S. Antonio, una rete clandestina già avviata da don Mario Zanin per soccorrere i soldati britannici e del Commonwealth. Questi, fuggiti a migliaia dai campi per prigionieri di guerra e dai distaccamenti di lavoro agricolo sparsi nel Veneto, vivevano stentatamente alla macchia o latitavano in città, braccati da tedeschi e fascisti e insidiati dalle spie.

A partire dal 21 dicembre 1943 oltre duecento ex prigionieri, insieme ad alcuni ebrei perseguitati, furono condotti in salvo in Svizzera da Romani in una quindicina di difficili e pericolosi viaggi lungo un itinerario clandestino predisposto da Ezio Franceschini, già assistente del rettore Concetto Marchesi a Padova e in quel momento professore all’università Cattolica di Milano. L’attività cessò il 14 marzo 1944 con l’arresto di Teresa Martini e di altri collaboratori. Dal canto suo Marchesi, che aveva dovuto lasciare Padova lanciando agli studenti il famoso appello alla lotta armata del 1° dicembre 1944, dopo un periodo in clandestinità a Milano e un tentativo fallito la notte del 9 febbraio 1944 riuscì a varcare il sorvegliatissimo confine con la Svizzera, strisciando con affanno sotto una rete “mentre dietro un cane latrava furiosamente”.

L’esule aveva documenti falsi intestati all’inesistente “avv. Antonio Martinelli” ed era senza bagaglio, ma col suo grande prestigio morale si presentò alle più alte autorità alleate residenti in Svizzera per chiedere la fornitura ai partigiani di armi, munizioni, esplosivi e rifornimenti. Validi e assidui collaboratori di Marchesi nella sua fervente opera furono due padovani rifugiati in Svizzera in seguito alle leggi razziali: l’industriale Giorgio Diena e la sorella Wanda, che aveva con sé i figlioletti Giusi e Claudio Scimone (il futuro grande Maestro).

A mantenere i frequenti contatti col Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia a Milano e col Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Veneto (presieduto da Egidio Meneghetti, con sede clandestina nell’Istituto di Farmacologia) furono in particolare proprio Armando Romani e Virginia Picchini, che Franceschini definì “abili agenti del servizio informazioni”. Per le sue pericolose missioni la Picchini assumeva il nome di copertura “Luisa Martinelli”, nipote dell’“avv. Martinelli”, cioè di Marchesi. Il Comando generale del Corpo Volontari della Libertà (CVL) identificò l’organizzazione operante tra Padova, Milano e Svizzera come “Gruppo FraMa”, dalle iniziali di Franceschini e Marchesi.

Intanto Marchesi era in continuo contatto con i massimi rappresentanti degli Alleati che operavano a Berna sotto copertura diplomatica: John McCaffery, capo della Italian Section dello Special Operation Executive (SOE) britannico, e Allen Dulles, direttore dell’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, ritenuto il rappresentante personale del Presidente Roosevelt in Europa e in seguito nominato direttore della CIA. Altro interlocutore di spicco era Lancelot De Garston, viceconsole britannico a Lugano ma in realtà agente del British Directorate of Military Intelligence – Section 9 (MI9), dipartimento del War Office britannico che si occupava del salvataggio dei soldati che si trovavano dietro le linee nemiche e dell’aiuto ai partigiani. Grande amico dell’Italia era il capitano Guido Bustelli, dell’ufficio informazioni dell’Esercito svizzero operante a Lugano.

Il 18 marzo 1944 Giorgio Diena, con falsi documenti intestati a Giorgio Sartori, compì il suo primo viaggio clandestino a Milano e a Padova, particolarmente pericoloso per un ebreo, per organizzare insieme a Otello Pighin i campi per gli aviolanci di armi, munizioni ed esplosivi. Da maggio a novembre 1944 furono una settantina i campi allestiti in Triveneto, Emilia, Lombardia e Piemonte. Il “Servizio informazioni” mantenne aggiornati gli Alleati con notizie su entità, dislocazione e spostamenti delle forze tedesche, sugli obiettivi di interesse militare da bombardare e sulle località da salvaguardare. I rapporti su Verona e provincia venivano forniti da Gianfranco de Bosio, futuro regista di fama internazionale.

Secondo la prassi cospirativa, Meneghetti bruciava ogni messaggio subito dopo averlo letto. Se l’archivio della “FraMa” con migliaia di messaggi (alcuni cifrati) ci è pervenuto integro lo dobbiamo all’amore per la storiografia (nonché all’imprudenza) di Franceschini, che lo salvò dalle perquisizioni delle SS tenendolo nascosto sotto i polverosi scheletri dei morti di peste accatastati in un sotterraneo dell’università Cattolica a Milano. Da questo fitto carteggio del 1944 spunta il pathos delle vicende di “Luisa” (Virginia Picchini), Armando (Romani) e padre Placido Cortese. 22 aprile: Luisa “non ha tentato il passaggio in Svizzera dato aggravarsi causa di Armando”. 21 maggio: “Armando è stato liberato dopo feroce bastonatura e attualmente ha raggiunto Luisa”. 24 agosto: “Armando ha stabilito comunicazioni rapidissime con Padova, ma i mitragliamenti sono continui”. 16 ottobre: “Laggiù hanno arrestato il P. Cortese, il che è un colpo gravissimo perché sapeva quasi tutto. Armando dice che anch’io sono in pericolo”. 19 ottobre: “Padre Cortese prelevato da due sconosciuti. Ora sembra anche sulle tracce di Armando”.  20 ottobre, lettera di Wanda Diena a De Garston: “Padre Cortese pare già soppresso. I feel very sorry for the brave and valiant man”. 25 ottobre: “La povera Luisa è venuta qui perché a Ven[ezia] è ricercata dalla questura. La faccenda di Armando si complica: egli è qui braccato da due dei più abili segugi della polizia speciale investigativa. Gli hanno arrestato una persona con le piante delle fortificazioni della Carnia”.

In seguito Armando Romani fu imprigionato nel campo di transito di Fossoli, da cui riuscì a fuggire in modo rocambolesco, evitando di essere deportato nel KZ lager di Auschwitz. Virginia Picchini (alias “Luisa”) fu più tardi essa stessa arrestata, torturata, poi inviata a S. Vittore, Verona e Bolzano. Il trattamento da lei subito fu descritto in una relazione del CVL di gennaio 1945 sulle sevizie inflitte dai torturatori di San Vittore. Al lager di Bolzano-Gries Virginia Picchini fu immatricolata col n. 11050.  Col n. 11052 fu immatricolata Lidia Martini che, sfuggita all’arresto in marzo del 1944 e rifugiatasi in Brianza su indicazione di Romani, aveva continuato a lavorare con lui fino al nuovo arresto del 17 gennaio 1945. Entrambe, assegnate al Blocco F nell’unica baracca per le donne, sopravvissero alla durissima vita del campo e sfuggirono alle atrocità commesse dalle SS ucraine nella schwarze Zelle, per le quali nel 2008 fu condannato all’ergastolo Michael Seifert, uno dei soli quattro criminali di guerra nazisti perseguiti penalmente dalla giustizia italiana.

L’autunno e l’inverno furono terribili a causa dei grandi rastrellamenti e degli arresti di molti capi della Resistenza. Le speranze in una imminente liberazione furono deluse, perché le armate angloamericane erano impantanate sull’Appennino tosco-emiliano e gravemente minacciate dalla grande offensiva tedesca sulle Ardenne, ragion per cui il feldmaresciallo britannico Alexander aveva invitato i partigiani a sospendere le operazioni, cercando di superare l’inverno coi soli propri mezzi.

Sfuggito all’arresto, Meneghetti dovette entrare in clandestinità il 27 settembre 1944, rifugiandosi per due mesi con il nome di “Padre Mauro” nel Monastero di S. Giustina, che fu perquisito dal 22 al 24 novembre senza successo. Fu sostituito in parte da Adolfo Zamboni, maggiore di complemento dell’esercito e fiero avversario del regime, che però il 18 novembre fu arrestato e ripetutamente seviziato dal Reparto Servizi Speciali del maggiore Carità, al servizio della Sipo-Sd tedesca, insediatosi a Palazzo Giusti da pochi giorni con la sua famigerata banda di torturatori e assassini. Uscì di cella solo il 27 aprile 1945.

Anche Meneghetti alla fine fu catturato dalla banda Carità, il 7 gennaio 1945, con altri membri del CLN e in seguito trasferito a Bolzano, dove entrò il 24 marzo con il numero 10568. Ne uscì il 30 aprile. Fu eletto Rettore il 27 luglio 1945 col difficile compito non solo di ricostruire gli edifici dell’Università, ma anche di ricondurla “alle gloriose tradizioni di libertà”.

Giorgio Diena e il suo collaboratore Romeo Locatelli, trovati in possesso di messaggi cifrati, furono arrestati il 20 novembre a Milano dai militi della “Muti”. Portato a Bolzano e poi al KZ Dachau, Diena tornò a Padova ischeletrito dopo la fine della guerra. Subito ricostruì dalle macerie la sua fabbrica, la famosa Zedapa, e finanziò anche la costruzione del Tempio dell’Internato Ignoto, promossa dal suo compagno a Dachau don Giovanni Fortin. Locatelli invece morì nel KZ Gusen - Mauthausen. Il 2 dicembre Franceschini, temendo di essere arrestato, si rese irriconoscibile e si dette alla macchia in periferia. Nel 1965-68 sarà rettore dell’Università Cattolica.  Il 4 dicembre 1944 Concetto Marchesi, invitato a Roma dal Governo Bonomi, partì da Lugano per Lione. Nel volo Lione – Roma gli fu accanto il suo compagno d’esilio Luigi Einaudi. Nel 1946 fu eletto all’Assemblea Costituente nella lista del Partito Comunista. Di padre Placido Cortese, martire della Carità, è in corso la causa di beatificazione; alla sua memoria il 5 giugno 2017 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito la medaglia d'oro al merito civile.

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