SOCIETÀ

Under the surface: la crisi idrica del Po e il futuro che l’aspetta

È il primo pomeriggio del 5 febbraio 2023 a Torino. Le previsioni dicono che più tardi le temperature potrebbero crollare e forse nevicherà in collina. Intanto il sole scalda abbastanza e i bar sui murazzi del Po hanno tirato fuori i tavolini. Da qualche anno sono intitolati a Fred Buscaglione, il cantante di Eri piccola così che proprio a Torino è nato nel 1921. Sono un punto panoramico perfetto: studenti e anziani si godono la vista sul ponte Vittorio Emanuele I e, sull’altra sponda, le dolci colline alberate con in cima la Chiesa di Santa Maria del Monte. In mezzo quel che rimane del Po, il più lungo e importante fiume d’Italia che è ridotto a una sottile lama d’acqua: affiorano isolotti ricoperti di alghe, pietre, rottami che normalmente dovrebbero stare sotto l’acqua che scorre.

Torino, come in tutta la Pianura padana, è percorsa da una paura: sarà un altro anno secco come lo scorso?

Il 2022 infatti è stato un anno memorabile per chi vive lungo il grande fiume. Per tutta la primavera e l’estate circolano foto allarmanti lungo tutto il percorso del Po: battelli in secca, porticcioli inservibili, lunghe spiagge comparse un po’ ovunque dal reggiano al mantovano e al ferrarese. Qui e là appaiono ruderi della Seconda Guerra mondiale o intere isole delimitate da rivoli d’acqua. In poche parole, manca l’acqua.

Se i segnali sono chiari già a febbraio di quell'anno, arrivati a giugno non c’è più dubbio. La carenza di acqua è talmente grave che si arriva alla riduzione dell’attività o alla totale chiusura delle centrali elettriche: da Moncalieri, vicino a Torino, a quelle di Sermide e Ostiglia, in provincia di Mantova, fino alla più grande centrale idroelettrica del paese, quella di Isola Serafini, in provincia di Piacenza. La chiusura delle centrali è una diretta conseguenza della riduzione drastica della portata dei fiumi, del Po in primis, dovuta a una netta riduzione delle piogge e della neve nei mesi invernali. In altre parole, a una siccità conclamata.

A fine giugno 2022, il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, traccia un quadro chiaro e consapevole della situazione durante un incontro con la Protezione Civile. “La siccità è purtroppo un fenomeno che dobbiamo considerare ricorrente” sottolinea, aggiungendo che oltre a gestire l’emergenza sarà necessario avere una “visione di prospettiva”, con la programmazione di interventi strutturali perché “da qui ai prossimi anni ci aspettiamo di trovarci spesso purtroppo in situazioni come quella attuale. Occorre fare sistema e creare le infrastrutture necessarie alla gestione coordinata e continuativa per affrontare in modo efficace ogni possibile carenza d’acqua”.

La carenza d’acqua in un fiume come il Po non significa solamente che diventa impossibile la navigazione, che non si riesce ad irrigare i campi, che l’acqua salata del mare rientra per chilometri lungo il corso del fiume. Significa anche che non c’è abbastanza acqua che ricarichi le riserve sotterranee. Quelle riserve essenziali perché l’acqua possa effettivamente arrivare ai nostri rubinetti. Come ha detto Fedriga è un’emergenza puntuale nel tempo, ma che segnala una problematica di lunga prospettiva.

Under the surface: cosa dicono i dati a livello europeo e italiano

A metà maggio di quest’anno abbiamo iniziato a lavorare a una serie di articoli sul tema acqua, partecipando a una inchiesta internazionale. Il primo contributo che abbiamo pubblicato si intitolava “Under the surface, o dello stato di salute dei bacini idrici sotterranei europei”. L’inchiesta, come spieghiamo anche in una nota metodologica pubblicata assieme a quel primo articolo, nasce dall’iniziativa di 14 giornalisti di sette diversi paesi, tra cui chi scrive, per analizzare i dati resi disponibili dai paesi membri dell’Unione alla Commissione Europea, raccolti e pubblicati sul sito dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), in ottemperanza alla cosiddetta direttiva acqua, la direttiva europea 2000/60/EC del 23 ottobre 2000, che impone di mettere a punto una serie di piani di azione per riportare le acque europee in un ‘buono stato di salute’ secondo il principio che l’accesso all’acqua, in primis per usi civici, è una priorità in tutta la regione europea. Il buono stato di salute si riferisce sia al dato quantitativo, quando i corpi idrici sono in grado di recuperare i livelli normali attraverso il ciclo dell'acqua, che a quello qualitativo. Sono in buono stato di salute chimica le acque dove la presenza di sostanze chimiche inquinanti è in concentrazioni inferiori ai limiti di legge. Un certo bacino idrico può essere in buono o cattivo stato di salute per una di queste due ragioni o anche per entrambe. 

I dati analizzati dal consorzio di giornalisti sono quelli raccolti nel periodo del terzo ciclo di pianificazione idrologica, relativo agli anni 2021-2027. I dati dovrebbero dunque essere in larga parte aggiornati almeno al 2021. Quello che questi dati raccontano è una situazione complessiva tutt’altro che positiva: i bacini idrici sotterranei europei sono sovrasfruttati e spesso contaminati in modo grave. Dalla Spagna al Belgio, dalla Francia alla Danimarca e la Grecia, ci sono problemi sia di quantità di acqua disponibile che di qualità, con inquinamenti di varia natura, dall’eccesso di nitrati alla contaminazione con PFAS e altre sostanze chimiche di sintesi, quindi da sostanze utilizzate in agricoltura o prodotte dalle industrie. Se l’obiettivo della direttiva è ripristinare un buono stato di salute delle acque entro il 2027, è chiarissimo che il lavoro da fare è tanto e il tempo rimasto molto poco.

Se non c’è dubbio che anche in Italia ci sia un problema di inquinamento delle acque di falda e dei bacini idrici, evidente nelle mappe in particolare in quelle zone dove si pratica ad esempio agricoltura intensiva, il problema che si manifesta come più urgente nel nostro paese da qualche anno a questa parte è quello della scarsità della risorsa idrica, della difficoltà di ripristino delle acque sotterranee. Insomma, della siccità.

Ormai oscilliamo sempre tra due poli: eventi molto pesanti, brevi ma estremamente intensi, in cui scende una grande quantità di acqua e poi siccità per periodi storici sempre più lunghi Giulio Boccaletti

Osservando la mappa interattiva realizzata con i dati dell’Agenzia ambientale europea al 2021, si potrebbe quasi pensare che il problema non sia così grave, fatta eccezione per alcune zone tradizionalmente più scarse di acqua, come la Puglia e un'ampia area della Calabria. Ma quello che è successo nel 2022 e poi nel 2023 ci ha mostrato come in realtà siamo ormai entrati in una fase diversa, ben descritta proprio dalle parole di Fedriga, quella di una problematica che non può più essere affrontata come un’emergenza occasionale ma come una prospettiva.

Descrive molto efficacemente la situazione Giulio Boccaletti, fisico, un PhD in scienze dell’atmosfera e dell’oceano alla Princeton University, oggi direttore scientifico del CMCC, il centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici. Boccaletti, una vasta esperienza internazionale tra istituzioni, grandi compagnie e organizzazioni internazionali, come il Global Agenda Council on Water, è autore di “Acqua. Una biografia”, uscito per Pantheon Books nel 2021 e per Mondadori nel 2022, tradotto in molte lingue e considerato un caposaldo della storia dell’acqua. “La storia degli ultimi due anni è emblematica. Perché ormai oscilliamo sempre tra due poli: eventi molto pesanti, brevi ma estremamente intensi, in cui scende una grande quantità di acqua e poi siccità per periodi storici sempre più lunghi” racconta Boccaletti a Il Bo Live. 

Lo incontriamo a margine di un evento pubblico all’interno del Festival dell’acqua di Staranzano, in Friuli, a metà maggio di quest’anno, in una serata in cui piove così intensamente da rendere quasi surreale qualsiasi discorso sulla scarsità dell’acqua. Boccaletti ha letteralmente affascinato le persone presenti, tante e molto attente, con le sue riflessioni sul ruolo dell’acqua nella nostra vita, e su quanto poco conosciamo questo elemento così essenziale, dei miti e delle leggende che in diverse parti del mondo e in diversi momenti della nostra lunga storia umana sono stati costruiti e tramandati per parlare di acqua, per proteggerla, per rispettarla o per sfruttarla. Di guerre dell’acqua e di storie di popoli che sulle rive del Mediterraneo e lungo i fiumi hanno costruito pezzi di civiltà. Il dialogo con il pubblico è appassionato e lontanissimo da certi cliché della divulgazione scientifica classica, razionale e distaccata. Sottraiamo Giulio Boccaletti a fatica dalle persone che vorrebbero continuare a fargli domande. Mentre stiamo parlando, arrivano le notizie dell’esondazione del Lambro e di diversi altri torrenti. La zona est di Milano è invasa dall’acqua, interi quartieri sono allagati. Una storia che si ripete, appunto. 

“Nell’inverno 2021-22 c’è stata una riduzione delle nevi di più del 50%. Gli agricoltori si rendono conto di avere un problema già a inizio 2022, per loro è evidente che c'è un problema di siccità immediata, nei mesi subito dopo” inizia a ripercorrere i fatti, Boccaletti. “La maggior parte del pubblico però non non se ne rende conto: si preoccupano solo coloro che sanno di dover poi utilizzare l'acqua ad aprile. La situazione si aggrava in tutti i mesi estivi. Nel 2023 cominciamo l'anno con profonda siccità - meno 70% di neve - e così andiamo avanti fino ad aprile. Poi a maggio scende una catastrofe, sulla Romagna in particolare.”

I due poli, la siccità e le inondazioni, sono in un certo senso intimamente legati. Non si tratta di semplici eventi di maltempo o di emergenze eccezionali, come pare che ci ostiniamo a chiamarli. Sono invece due facce della stessa crisi, in larga parte, anche se non esclusivamente, determinata dalla crisi climatica in atto

Sia chiaro, sia le siccità che le inondazioni ci sono sempre state. Sono gli andamenti, le frequenze e le intensità che sono cambiati. I dati dell’Istituto superiore per la protezione

e la ricerca ambientale (ISPRA) in proposito sono chiarissimi: negli ultimi 30 anni le siccità, con percentuali molto ampie del territorio nazionale in deficit di precipitazione, sono più frequenti ma soprattutto molto più intense. E se è vero dunque che ci sono stati, nei decenni passati, siccità davvero importanti, la ciclicità attuale non consente più il ripristino delle riserve d’acqua sotterranee. Siamo ormai entrati in un periodo di siccità quasi croniche con una parte importante del paese che fa fatica a garantire l’acqua anche per i bisogni essenziali.

Negli ultimi decenni c'è stato un incremento della frequenza degli eventi siccitosi: si vede anche a occhio senza il bisogno di fare nessuna analisi particolarmente sofisticata Giovanni Braca

Giovanni Braca, primo estensore e referente del Rapporto Siccità ISPRA 2022, usa queste parole per commentare il grafico sulla percentuale di territorio nazionale soggetto a un deficit di precipitazioni. Il grafico, che si basa sui dati storici dell’ISPRA, prende in considerazione gli anni dal 1952 a tutto il 2023. Lo conosciamo assieme a Francesca Piva, ingegnere, anche lei in forza all’ISPRA, che si occupa della direttiva acqua e conosce molto bene lo stato delle acque sotterranee, in una lunga call che serve a farci capire come si raccolgono i dati sull’acqua e come vanno letti. “Diciamo che ogni quattro cinque anni si verificano fenomeni di siccità che interessano una parte di territorio molto ampia”, chiosa Braca, esperto soprattutto di dati e modelli relativi alla composizione del bilancio idrico, di fronte alle barre rosse del grafico. “E questi fenomeni particolarmente intensi si concentrano quasi tutti dopo il 2000, negli ultimi vent’anni circa”.

Le piogge, le nevi e il ciclo dell’acqua: come si rimpinguano i bacini idrici

Perché ci sia acqua nei bacini idrici è necessario che ci siano pioggia e neve che ripristinano le riserve consumate nei mesi più caldi. Ed è proprio qui che sta la questione. L’aumento delle temperature medie senz’altro contribuisce a peggiorare tutto il ciclo dell’acqua, riducendo le precipitazioni sia di pioggia che, soprattutto, di neve. Ne avevamo già parlato, su Il Bo Live, nel gennaio del 2021, quando era stato pubblicato uno studio di Claudia Notarnicola, fisica ed esperta di remote sensing  (o telerilevamento, in italiano), e vicedirettrice dell’Istituto per l’Osservazione della Terra dell’EURAC, centro di ricerca privato di Bolzano. Notarnicola ha applicato le sue tecniche allo studio della criosfera, cioè la porzione della terra ricoperta da neve e ghiaccio. E il risultato parla da solo: tra il 2000 e il 2018, nelle regioni storicamente coperte da neve e ghiaccio c’è stato un calo dell’80% della copertura. L’arco alpino è tra queste. 

I dati di Notarnicola trovano conferma in un altro studio, pubblicato su Nature a gennaio di quest’anno e di cui abbiamo parlato sempre qui sulle pagine de Il Bo Live. Lo studio firmato da Alexander R. Gottlieb e Justin S. Mankin, geografi e geologi del Dartmouth College di Hanover, negli Stati Uniti, analizza i bacini di 169 fiumi dell’emisfero nord del pianeta, mettendo in relazione la portata e la riduzione delle acque con lo scioglimento delle nevi. Un dato davvero importante, e poco apprezzato fino a tempi molto recenti, è che lo scioglimento delle nevi non è lineare con l’aumento delle temperature. C’è una sorta di valore soglia, uno di quei tipping point di cui tanto si parla in relazione alla crisi climatica. Insomma, fino a una certa temperatura, la neve tiene. Poi, ogni singolo grado in più si traduce in una perdita sempre più ingente e rapida di copertura nevosa. E, di conseguenza, in una ridotta capacità di ripristino delle riserve idriche. 

La portata stagionale dei fiumi e dei torrenti a valle diminuisce dunque perché c’è meno neve e meno acqua che arriva da monte. Quando poi piove torrenzialmente, come è successo nel 2023 in almeno due momenti dell’anno e come è già successo nella primavera appena passata, e nel giro di pochi giorni si ha la precipitazione che storicamente si distribuisce nell’arco di mesi, quest’acqua non può essere raccolta, va dispersa e, oltre a generare i disastri che ormai ben conosciamo, nei fatti è quasi del tutto inutile per rimpinguare le riserve idriche. 

Mettendo in mappa gli andamenti delle precipitazioni idriche (misurati in mm) nel nostro paese, usando i dati ISPRA, possiamo confrontare la media tra gli anni 1951-2021 con il 2022 e con il 2023. I dati sono raggruppati per i sette distretti idrografici in cui è ripartito il territorio italiano. Si tratta di una suddivisione introdotta nel 2006 e aggiornata nel 2015 su indicazione della Commissione Europea. Sulla mappa è possibile leggere i dati relativi a ciascun bacino cliccando sul puntino al centro dei diversi territori. Si tratta di enti territoriali che accorpano più bacini e che dovrebbero essere la base sia per la gestione delle risorse idriche, sia per la reportistica nei confronti delle autorità europee.

Il risultato è molto chiaro.  

La riduzione drastica di precipitazione nel 2022 si riflette nella ridotta disponibilità idrica che ha avuto un impatto, oltre che sulle due isole storicamente poco piovose, Sardegna e Sicilia, anche su tutta la penisola, con una particolare intensità sul bacino del Po

Oltre a visualizzare quelli delle precipitazioni, è utile vedere in mappa anche come è cambiata la disponibilità idrica nei diversi bacini, misurata sempre in mm di acqua. Si tratta, dobbiamo sottolinearlo, di stime non facili da fare come ci spiegano a breve sia Boccaletti che Braca, e di numeri che pur presi in termini assoluti sono sempre complicati da calcolare.

Forse ancora più chiari sono i dati che mostrano la differenza in percentuale, bacino per bacino, tra la media 1951-21 e l’anno 2022, sia delle precipitazioni che della disponibilità idrica. Per tutti i sette bacini italiani il dato è negativo, un deficit secco. Il bacino più disastrato è quello siciliano, che merita una storia tutta a parte. Al secondo posto c’è quello della Sardegna. Al terzo posto, il bacino del Po. Con oltre il 60% di perdita. 

Il bacino del Po è centrale in tutto lo sviluppo produttivo del Nord Italia. Si estende su quattro regioni, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Le ricadute della siccità si sono sentite in agricoltura e su altri importanti settori produttivi, dalla pesca al turismo. Nella seconda parte di questa storia (in pubblicazione la prossima settimana) conosceremo le storie di chi vive e lavora, in particolare, nella zona del delta del Po, un’area enorme che ha vissuto una delle più importanti bonifiche del nostro paese, a partire da fine ‘800, le inondazioni storiche a metà degli anni ‘50 e infine, in tempi recenti, il passaggio a zona protetta, con la costituzione del Parco del delta del Po, che si estende su due regioni e in un territorio molto diversificato, tra fiume, zona umida e mare. Ma su questo torneremo appunto nella prossima puntata di questa storia.

Migliaia di cannucce nel Po 

“Durante la siccità il fiume va in secca non tanto perché non piove, ma perché noi continuiamo a comportarci come ci comportiamo prima.” Giulio Boccaletti è piuttosto assertivo nel sostenere che ci sono, sì, delle soluzioni, ma non sono né semplici né indolori. “Il sistema economico è invariante alle condizioni che cambiano. Noi abbiamo migliaia di cannucce nel Po che succhiano fuori l'acqua allo stesso tasso, indipendentemente dalla pioggia.” 

L’immagine delle cannucce è molto efficace perché in effetti il prelievo di acqua è coordinato fino a un certo punto. Sono tanti e diversi gli attori in gioco, e tutti prelevano acqua per i propri scopi. Non c’è una regia coordinata che mette in relazione il prelievo dell’acqua con la capacità di recupero e ripristino dei bacini? Così pare. 

Durante la siccità il Po va in secca non tanto perché non piove, ma perché noi continuiamo a comportarci come ci comportiamo prima Giulio Boccaletti

La gestione delle riserve idriche è più praticabile quando le precipitazioni sono regolari e più o meno prevedibili. Nel momento in cui invece gli andamenti delle precipitazioni cambiano, ci spiega ancora Giulio Boccaletti, “avere delle cannucce, migliaia di cannucce, che tirano fuori acqua, indipendentemente le une dalle altre, senza curarsi di quanta acqua ci sia in partenza… eh, quello produce il fiume in secca. E quindi dici cosa fai? Il problema è che intervenire non ha tanto a che fare con l'acqua, ma con quello che decidiamo di fare con le cannucce.

Ma è il concetto successivo che Giulio Boccaletti condivide con noi che ci sorprende molto. “Il Po è un fiume con un grande bacino, una falda enorme sotto, di cui non conosciamo la dimensione” In un’epoca in cui siamo abituati a misurare tutto sotto forma di dati, pensiamo erroneamente che di una risorsa così intensamente sfruttata, com’è il bacino idrico del Po, si conosca tutto. E invece non è così. “Non abbiamo dati molto accurati sulla quantità di acqua in falda” aggiunge Boccaletti, “Abbiamo centinaia di migliaia di pozzi in tutto il bacino del Po che tirano su acqua, ma non sono monitorati, non sappiamo quanta acqua tirino fuori.  E quindi il bilancio integrale idrico del bacino del Po, fiume più falda, è abbastanza indeterminato.” 

“È molto difficile fare un bilancio preciso dell’acqua disponibile”, ci conferma Giovanni Braca, mentre naviga tra tabelle e grafici cercando di condividere la difficoltà non tanto di raccogliere questi dati ma di tenerli insieme e renderli utili per chi poi le decisioni le dovrà prendere. Come le autorità di bacino, come le regioni, e tutte le altre istituzioni e autorità coinvolte nel governo dell’acqua. Che in Italia sono molte e il cui ruolo non è sempre chiarissimo. Anche per questo motivo, e per rispondere alla crisi idrica del 2022, l’attuale governo ha nominato nel maggio dello scorso anno un commissario straordinario “per l'adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica”. A capo della struttura c’è Nicola Dell’Acqua, ex direttore di un ente veneto che si occupa di agricoltura (Veneto Agricoltura). Il compito principale del Commissario è proprio quello di pianificare e realizzare interventi per contrastare la siccità. Dell’Acqua ha ricevuto un’estensione del suo incarico fino alla fine del 2024 e in questo anno e poco più di attività ha coordinato una ricognizione dello stato attuale e di quali siano gli interventi da realizzare per migliorare la situazione, come si può leggere dalla più recente dalla seconda relazione pubblicata ad aprile di quest’anno. Gran parte dei 562 interventi previsti dovrebbero essere finanziati con i fondi del PNRR per un totale di oltre 13 miliardi di euro. Abbiamo contattato più volte la segreteria del Commissario, ma non è stato possibile intervistarlo.

Intrerpretare i dati

Capire quanta acqua insiste su un bacino idrico non è semplice. “Perché in realtà il bilancio deriva dall’insieme della stima della capacità dei bacini, dalla piovosità e dalle precipitazioni nevose e, naturalmente, dal fabbisogno, e quindi, in altre parole, da quanta acqua preleviamo”, spiega Braca.

“L’interpretazione di quei dati deve essere mediata dalla comprensione del contesto. Uno dei problemi di guardare al mondo attraverso la lente dell'acqua è che bisogna stare attenti a non dimenticarsi ciò che succede attorno all'acqua” aggiunge ancora Giulio Boccaletti, che non si accontenta mai di dare solo una fotografia tecnico-scientifica dei dati ma ritiene necessario riportare il discorso sul piano della storia, della gestione del territorio, e in ultima analisi della politica. “Il Po è un bacino attorno al quale viene prodotto più del 40 per cento del PIL italiano. È un fiume lungo, lungo il quale ci sono un'infinità di attività agricole ed industriali. È inevitabile che lungo il suo percorso si carichi dei sintomi dell'industrializzazione, dell'uso di fertilizzanti chimici, di produzione e quant'altro.” In altre parole, Boccaletti ci sta dicendo che le scelte di gestione delle acque non possono mai essere separate dalle scelte di politica industriale e agricola di un territorio. Non sono scelte semplici, perché richiedono la messa a sistema di una politica a tutto tondo. “È facile gestire un fiume corto in un posto poco o per nulla sviluppato e mantenere uno stato naturale” continua Boccaletti, aggiungendo “Molto più difficile è gestire un fiume lungo in un posto altamente industrializzato dove le scelte imposte da quei dati e quegli impegni sulla qualità dell'acqua sono molto più profonde. Non è una scelta possibile per l'Italia deindustrializzare la Pianura padana. Quindi i dati sono sì fondamentali, ma devono essere interpretati col contesto cui si riferiscono.”

E dunque, sostiene Boccaletti, non è facile individuare una soluzione. La combinazione di crisi climatica e intensificazione dell’uso delle risorse idriche richiede una gestione complessa, una gestione che comporta un vero e proprio cambiamento di assetto istituzionale. “In realtà in Italia abbiamo l'infrastruttura istituzionale che ci serve” riflette ancora Boccaletti, “abbiamo l'Autorità di bacino. Ma questo è un nome sbagliato, perché nei fatti non ha nessuna autorità.” Ci vuole un sistema che stabilisca come devono essere utilizzate le risorse idriche, chi può prendere l’acqua in che tempi e per quanto. Ci sono diversi modi per risolvere questi problemi, secondo Boccaletti, dal creare mercati dell'acqua, al mettere a punto dei regolamenti dinamici. Si tratta di scelte diverse, che vanno messe in pratica accompagnate anche da misure economiche a sostegno dei costi connessi. “Tutto questo non ha a che fare con la precipitazione, ha a che fare con le istituzioni umane.”

E infatti, come vedremo nella seconda parte di questa storia che pubblicheremo la prossima settimana, queste scelte o la loro mancanza finiscono con l’avere immenso impatto sulla vita delle persone, delle attività produttive, delle comunità locali che cercano in un modo o nell’altro di adattarsi ai drammatici cambiamenti in atto. 

Credits

Il progetto di inchiesta "Under the Surface" è stato lanciato da Datadista e coordinato da Arena for Journalism in Europe. Si tratta di una collaborazione internazionale tra Le Monde (Francia), Datadista (Spagna), Reporters United (Grecia), De Standaard (Belgio), Dagbladet Information (Danimarca), Facta (Italia) e Investico (Paesi Bassi). 

Il consorzio europeo è inoltre composto da: Zeynep Sentek, Jelena Prtorić, Sarah Pilz, Ine Renson, Maxie Eckert, Ana Tudela, Antonio Delgado, Raphaëlle Aubert, Myrto Boutsi, e Léa Sanchez.

Le mappe e le visualizzazioni di dati di questo episodio sono a cura di Benedetta Pagni.

La foto sono state realizzate da Michele Lapini.

Tutte le storie pubblicate anche negli altri paesi puoi trovarle su: europeanwaters.eu

Questo articolo e gli altri della serie de Il Bo Live, così come una parte del lavoro di altri colleghi europei come descritto nel sito in inglese e nella metodologia, sono supportati da una grant di Journalismfund Europe.

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