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Medicina a Padova nei secoli: Fabrici d'Acquapendente, quando l'anatomia incontra l'arte

Quando parliamo di anatomia a Padova, il primo nome che viene in mente è forse quello di Andrea Vesalio, ma ampliando di poco l’orizzonte non potrebbe non risaltare anche la figura di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, che per cinquant’anni fu titolare della cattedra di anatomia. Nel teatro anatomico eretto durante il suo magistero, i suoi colleghi avevano l’opportunità di apprendere i segreti dell’anatomia durante l’esecuzione delle autopsie, cui assistevano anche membri dell’alta società patavina.

Fabrici si trasferì a Padova poco prima del 1550 per studiare medicina. Visse nella contrada di San Francesco ma poi, con il proseguire della sua carriera, poté disporre anche di una casa in cui passare le vacanze: villa Montegalda, all'epoca considerata in periferia, fu restaurata e dotata di un parco e di un laghetto.
Fu allievo di Gabriele Falloppia che, quando morì, lasciò vacante la cattedra di anatomia. L’insegnamento venne impartito per qualche tempo solo privatamente, forse anche dallo stesso Fabrici, fino al 1565, quando ottenne ufficialmente la cattedra di chirurgia con l’obbligo di insegnare anche anatomia. La sua attività accademica non è immune da critiche e polemiche: in particolare sembra che fosse abbastanza burbero, e che prendesse in giro gli studenti tedeschi per la loro pronuncia. Questi, di contro, gli rimproveravano un certo pressapochismo: a quanto pare, capitava spesso che si desse malato e non fosse abbastanza presente in università; come se non bastasse, durante le lezioni tendeva a parlare molto piano a causa di un problema alla laringe. Le divergenze con i teutonici, però, si risolsero con il passare del tempo, quando nacque nel Fabrici una sorta di inspiegata germanofilia.

Concluse onorevolmente la sua carriera accademica: avrebbe avuto diritto alla cattedra a vita, ma vi rinunciò dopo 50 anni di insegnamento. Tra i suoi numerosi allievi, ne ricordiamo in particolare due: prima di tutto William Harvey che, grazie agli insegnamenti di Fabrici autore del De venarum ostiolis, ricavò alcuni elementi fondamentali per la scoperta della circolazione sistemica del sangue. Fabrici infatti aveva descritto con precisione le valvole delle vene, ma non era mai riuscito a capirne a pieno il funzionamento. Oltre ad Harvey, un altro allievo importante fu Paolo Sarpi, il cui destino si lega a quello di Fabrici con nodi imprevedibili: non è stato solo suo allievo, ma anche suo paziente (come del resto Galileo) quando era stato ferito a una gamba, e grazie alle cure prestate Fabrici si è guadagnato le insegne di cavaliere di San Marco. Ma non basta: pur non essendoci testimonianze ufficiali in proposito, la tradizione attribuirebbe a Sarpi il progetto di quel teatro anatomico che tutt’ora possiamo apprezzare.

Per quanto riguarda la ricerca, a Fabrici si deve l’ideazione del metodo anatomico comparativo che era mancato non solo agli antichi, ma anche ai moderni come per esempio Vesalio. In questo senso Fabrici riprende una serie di nozioni già assodate integrandole e organizzandole in un insieme organico, che fra l’altro non vedeva una netta distinzione tra anatomia e fisiologia: per lui si trattava delle facce di una stessa medaglia, e quindi non si limitava a descrivere un organo, ma ne precisava il funzionamento. Un’altra caratteristica dell’approccio del Fabrici era quella di non specificare, nella trattazione, se faceva riferimento agli organi umani o a quelli di altri animali: lui descriveva la struttura degli organi cercando di far emergere degli “universali anatomici” validi per tutte le creature. Non a caso, è colui che dette il nome alla borsa di Fabrici, un organo presente negli uccelli che svolgeva funzioni di difesa (un organo linfatico).

Fabrici si occupò di embriologia comparativa presentando una classificazione delle varie forme di placenta umana e di altri animali (De formato foetu), superando così il suo maestro Falloppia, ma soprattutto studiò vista, voce e udito, pubblicando nel 1600 a Venezia e a Padova il libro De Visione, voce, auditu. Il titolo è interessante, perché dimostra come lui vedesse l'anatomia a tutto tondo, studiando le funzioni oltre che le strutture e trasformando quindi un’anatomia prettamente descrittiva in un’anatomia funzionale. Lo stesso approccio lo si ritrova nel De locutione e nel De brutorum loquela dove si parla di comunicazione sia umana che animale, partendo dalle basi anatomiche comuni.

Quasi tutte le sue ricerche sono degnamente rappresentate nelle Tabulae anatomicae, attualmente conservate nella Biblioteca Marciana di Venezia, che descrivono struttura e funzionamento degli organi, che sarebbero dovute andare a comporre una sorta di atlante che desse conto dell’intera anatomia e della fisiologia umana e animale. I disegni anatomici sono realizzati con colori ad olio e venivano probabilmente usati anche a scopo didattico, perché sono presenti dei fori che indicherebbero che le tavole venivano appese. Altri danni sono stati riparati durante un restauro biennale (dal 1994 al 1996) che ha restituito ai disegni (probabilmente di Dario Varotari e di altri artisti) il loro antico splendore. Queste 167 tavole, divise in otto volumi originariamente rilegati in pergamena, di cui uno dedicato all'anatomia comparata, vennero ritrovate alla Marciana solo nel 1909 da Giuseppe Sterzi e nelle intenzioni del Fabrici dovevano essere circa 300, dedicate anche agli animali, e dovevano costituire un programma teorico che facesse da contraltare alle dimostrazioni pratiche che avvenivano nel "suo" teatro anatomico. Purtroppo, però, non riuscì mai a completare il lavoro. Unitamente alle tavole, furono trovati tre prototipi con dentro altre 44 tavole dipinte e 56 incisioni con gli stessi soggetti. Particolare è la storia del ritrovamento delle Tabulae anatomicae: nel suo testamento, Fabrici aveva specificato che voleva fossero lasciate alla biblioteca Marciana della Serenissima, ma poi erano state considerate perdute per ben 200 anni. Chi l'avrebbe detto che non si erano mai mosse dal loro luogo di destinazione?

Fabrici fu un innovatore anche nell’ambito dell’ortopedia correttiva: oltre a dedicarsi a descrivere gli strumenti impiegati per la ricomposizione delle fratture, sembrava che avesse costruito l’Oplomochlion, detto “l’uomo ortopedico” (definizione di Pazzini), una macchina la cui riproduzione è conservata al MUSME di Padova e che è formata da quelli che oggi definiremmo come “ausili ortopedici” che venivano usati all’epoca. In realtà l’attribuzione non è definitiva: benché nella sua opera Fabrici avesse descritto protesi e strumenti, non ci sono prove documentali che dimostrino con certezza che l’Oplomochlion fosse stato costruito proprio da lui. Indubbiamente, però, l’immagine che Fabrici aveva rappresentato nelle sue descrizioni era coerente con le scoperte contemporanee.

Questo approccio anatomico-artistico rimane degno di nota, perché prima di lui l'uso delle immagini per l'insegnamento dell'anatomia non era una pratica così diffusa; in precedenza Vesalio aveva corredato la sua opera De humani corporis fabrica libri septem con circa 300 immagini, e anche all’Epitome, una sorta di versione ridotta della Fabrica rivolta principalmente agli studenti, aveva aggiunto le cosiddette “tavole animate”, particolarmente comode per gli studenti che potevano ritagliare le immagini degli organi e incollarle su un disegno del corpo umano. Tuttavia, come Fabrici non ha mancato di far notare, le immagini di Vesalio erano più piccole, e non del colore originale. Entrambe le iniziative dettero comunque impulso ai lavori di Gaspare Aselli, che pochi anni dopo pubblicò delle xilografie colorate: questo approccio inaugurò quindi una tendenza che prosegue ancora oggi, mutatis mutandis, con le immagini radiologiche e con quelle manualistiche di Frank Henry Netter. In questo senso, Fabrici può essere considerato a pieno titolo uno dei pionieri della medicina moderna.

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