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Medicina a Padova nei secoli: Giovanni Battista Da Monte e l'insegnamento clinico

Sopra il portone di Palazzo Romiati a Padova, al numero 51 di via del Santo, si trova un bassorilievo con un’iscrizione: “G.B. Da Monte”. Il busto, opera dello scultore Giuseppe Petrelli, fu voluto dal medico Giacomo Andrea Giacomini quando nel 1839, divenuto proprietario di una porzione del vecchio ospedale di san Francesco, vi costruì la propria abitazione. Originariamente sembra però che la targa fosse differente: “Qui – recitava – fu lo Spedale / ove G.B. Da Monte / aprì la scuola clinica / primo in Europa”. Nel 1897 si decise di cambiare la targa, omettendo quello che ancora oggi la tradizione indica come un contributo importante del medico veronese. Secondo alcuni “valentuomini e professori di Padova” quell’iscrizione non sarebbe stata del tutto veritiera e la “storia sarebbe [stata] lesa”.

A raccontare i particolari di questa vicenda è lo storico della medicina Giuseppe Ongaro. Giovanni Battista Da Monte (1489-1551) insegnò medicina pratica ordinaria all’università di Padova a partire dal 1539 e medicina teorica ordinaria dal 1543. In questa città aveva seguito le lezioni di greco e latino di Marco Musuro e di filosofia di Pietro Pomponazzi. Si era poi trasferito a Ferrara dove aveva conseguito la laurea con Niccolò Leoniceno. Era una mente brillante, interessato non solo alla medicina, ma anche alla botanica, all’archeologia, alla letteratura, alla chimica. Prima di iniziare la docenza padovana, aveva esercitato la professione a Brescia per un periodo, aveva viaggiato a Roma e a Napoli e soggiornato a Venezia e Verona.

Quando fu chiamato a Padova, erano gli anni in cui Andrea Vesalio introduceva in anatomia il metodo dimostrativo culminato con la pubblicazione del De humani corporis fabrica nel 1543: eseguiva con le proprie mani le dissezioni anatomiche sul cadavere e osservava direttamente il corpo umano, contestando apertamente la lezione degli autori classici – primo fra tutti Galeno – quando questa non trovava riscontro nel dato empirico. In quegli stessi anni Francesco Bonafede, cui nel 1533 era stata assegnata la lettura dei semplici, caldeggiava con lo stesso Da Monte e altri colleghi l’istituzione di un orto botanico che permettesse agli studenti di osservare le piante dal vivo, non solo attraverso le immagini tratte dai libri. Ebbene, in questo fervore culturale e scientifico, al medico veronese venne attribuito il merito di aver introdotto per primo l’insegnamento clinico al letto dell’ammalato nell’ospedale di san Francesco, come parte integrante del percorso di studi.

Il primo a sostenerlo sembra sia stato Giovanni Rasori nella prolusione al corso di clinica medica nell’ospedale militare di Milano, Sul metodo degli studj medici, tenuta il 14 luglio 1808. Secondo Rasori, Da Monte sin dal 1543 se non forse prima, mentre occupava la cattedra di medicina pratica e contemporaneamente prestava servizio al san Francesco, “in quello Spedale […] leggeva, come suol dirsi, Medicina; ed inoltre esercitava gli Studenti nella Pratica Medica, col far che scrivessero le storie degli ammalati ch’egli medicava sotto i loro occhi, e intorno ai quali forniva istruzione apposita, ciò che veramente si è fare una Scuola Clinica”. Rasori riteneva che a quelle conclusioni si potesse arrivare leggendo alcune delle opere pubblicate dagli allievi del Montano, riferendosi in particolare a un testo curato dal bresciano Vincenzo Casali (Explicatio locorum medicinae sine quorum intelligentia eam nemo recte exercere potest, Parigi 1554).

Qualche tempo dopo, a interessarsi del caso fu Giuseppe Montesanto che condusse ricerche nell’archivio dell’ospedale di san Francesco e dell’università, senza tuttavia trovare alcun documento che corroborasse le conclusioni di Rasori. Si accorse, anzi, che alcuni dei partecipanti alle discussioni dei casi non erano solo studenti ma anche docenti dell’Ateneo. A poco valsero le sue osservazioni, dato che gli storici della medicina successivi, e in particolare Giuseppe Cervetto nel 1839, difesero le posizioni di Rasori. È su di essi che si fonda una tradizione che continua ancora oggi.

Nel 1873 Giuseppe Orsolato, su posizioni differenti, negò invece l’ipotesi che Giovanni Battista Da Monte avesse posto le basi dell’insegnamento clinico al letto dell’ammalato. E questo sulla base di alcune osservazioni. Rasori aveva fondato le sue conclusioni su cinque storie cliniche contenute nell’opera curata da Casali, ma solo due di queste in realtà riguardavano casi osservati all’ospedale di san Francesco e riportavano il nome di Giovanni Battista Da Monte, le altre tre – che nei documenti originali si trovano indicate con il termine latino di “Collegium” – riguardavano casi osservati in abitazioni private dei pazienti. Rasori considerò queste ultime come adunanze di allievi con il professore tenute al letto del paziente, “a due delle quali precede la storia della malattia fatta dallo studente, di cui uno è nominato, ed è certo Fracanzano”. Ma Antonio Fracanzani non fu certo uno scolaro, dato che in quel periodo insegnava medicina pratica nell’Ateneo di Padova. I “Collegia”, in realtà, si ritiene fossero riunioni di medici a cui potevano partecipare anche studenti o praticanti, vere e proprie conferenze cliniche in cui avveniva la presentazione e la discussione di casi osservati nell’esercizio pratico della professione. 

Orsolato sottolinea inoltre che l’ospedale di san Francesco era un’istituzione cittadina autonoma e indipendente dall’università, governata dal Collegio dei Giuristi e affidata all’ordine dei frati minori osservanti. Dunque, se qualcuno dei medici curanti nell’ospedale occupava anche una cattedra all’università, i due incarichi erano del tutto indipendenti. Dagli atti della Natio Germanica – corporazione di studenti tedeschi che redasse un diario della vita universitaria dal XVI al XVIII secolo – si ha notizia tuttavia che nel 1578 Marco degli Oddi, medico primario dell’ospedale, e Albertino Bottoni, professore di medicina pratica straordinaria, accompagnavano gli allievi all’ospedale di San Francesco. Qui, raccontano gli studenti, il professore li portava per “visitarvi parecchi infermi afflitti da diversi generi di malattie” e mostrare “come si dovessero applicare alla pratica quelle dottrine che avevano fatto il soggetto della pubblica lezione”.

Secondo Orsolato, infine, non è possibile dimostrare nemmeno che Da Monte avesse prestato servizio nell’Ospedale di san Francesco, se si esclude qualche parere richiestogli dai medici curanti. Delle centinaia di consulti raccolti dai suoi allievi, del resto, non più di quattro o cinque sarebbero stati eseguiti in quella struttura. Gli studi di Giuseppe Orsolato furono ignorati per lungo tempo, sebbene raccogliessero nuove prove e gettassero una luce diversa sul supposto primato di Giovanni Battista Da Monte. In realtà, come sottolinea Fabio Zampieri nel volume Il metodo anatomo-clinico fra meccanicismo ed empirismo, non è dimostrabile che Da Monte, Oddi e Bottoni, avessero istituito in modo ufficiale la pratica dell’insegnamento clinico al letto del malato. La visita dei pazienti dell’ospedale di San Francesco doveva costituire, piuttosto, una consuetudine informale.

A Da Monte va tuttavia il merito di aver riconosciuto l’importanza del metodo dimostrativo anche in medicina, associando alle lezioni teoriche gli esempi clinici. A ciò vanno aggiunte una profonda abilità didattica e la perizia di consulente. Di Giovanni Battista Da Monte rimangono poche opere scritte di suo pugno e pubblicate mentre ancora era in vita. Gran parte sono volumi curati dagli allievi, contenenti lezioni o consulti raccolti talora poco fedelmente e con rielaborazioni.

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