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Parte in Iowa la corsa delle presidenziali americane

Le prime avvisaglie le abbiamo già viste durante il Super Bowl, l’evento televisivo dell’anno negli Usa, dove il presidente Trump e l’ex sindaco democratico di New York Michael Bloomberg hanno speso milioni di dollari per sfidarsi a colpi di spot elettorali. Per la cronaca: alla fine la 54° edizione del trofeo dedicato a Vince Lombardi è stata vinta dai Kansas City Chiefs, in splendida rimonta contro i San Francisco 49ers.

Si trattava solo dell’inizio: il 3 febbraio infatti iniziano le primarie democratiche, come da tradizione in Iowa. Agli abitanti di questo Stato, grande circa la metà dell’Italia ma con una popolazione inferiore a quella della Toscana, spetta il compito di assegnare i primi 41 delegati che quest’estate, dal 13 al 16 luglio, sceglieranno il ticket presidenziale nella convention del partito dell’asinello. Per quanto invece riguarda il partito repubblicano primarie e convention saranno sostanzialmente un pro forma, dato che la ricandidatura di Trump appare sostanzialmente in cassaforte.

L'Iowa ha tre milioni di abitanti, meno della Toscana, ma chi vince qui ha grosse possibilità di giocarsi la nomination

Le primarie iniziano sempre in Iowa, uno stato agricolo del Midwest, seguito dal New Hampshire nel nord est, dove invece si vota l’11 febbraio – commenta Fabrizio Tonello, politologo presso l’università di Padova, ma soprattutto giornalista e profondo conoscitore delle dinamiche politiche americane –. Le consultazioni proseguiranno poi tra febbraio e giugno in tutti gli Stati, più alcuni territori sottoposti alla sovranità statunitense come Portorico, Guam e le Isole Vergini. Si chiude il 16 giugno con il distretto di Columbia, dove sorge la capitale Washington”.

I sistemi di consultazione, a seconda degli Stati, sono di tre tipi: “Ci sono innanzitutto i caucus, riunioni degli iscritti che in Iowa ad esempio votano in una maniera un po' folkloristica, cioè riunendosi per discutere e poi dividendosi in gruppi a seconda del candidato sostenuto – continua Tonello –. Questo processo può andare avanti anche per un po' di tempo, perché se i sostenitori dei candidati minori vedono che la loro prima scelta non ha possibilità concrete si spostano fisicamente verso un altro candidato all'interno della sala dove si svolge la riunione”.

Ci sono poi le primarie chiuse e quelle aperte, a seconda che siano o meno riservate agli elettori del partito: “Bisogna premettere che negli Stati Uniti, a differenza che in Europa, il voto è sì segreto ma gli elettori devono autodefinirsi come repubblicani, democratici o indipendenti quando si scrivono alle liste elettorali. Questo poi può non avere nessuna conseguenza sul voto effettivo; inoltre negli ultimi anni c'è stato un forte aumento degli elettori che si autodefiniscono indipendenti, anche se poi in realtà tendono a votare per uno dei due partiti maggiori”.

Anche quest’anno l’attenzione dei media si concentra sulle partenze dei candidati, in attesa di vedere chi sarà il favorito. Per il momento in casa democratica sono ben 11 gli aspiranti presidenti, con i sondaggi che vedono raggruppati Joseph Biden, Bernie Sanders, Pete Buttigieg ed Elizabeth Warren, seguiti a distanza da Amy Klobuchar, Andrew Yang e Tom Steyer. Nell’incertezza che caratterizza le previsioni, gli analisti tendono a ritenere che Sanders arriverà probabilmente primo o secondo, mentre gli altri dovranno in qualche modo contendersi la piazza di candidato più moderato.

“Di fatto il processo per la scelta del partito democratico è già iniziato da un anno: per questo i candidati principali hanno passato gli ultimi 12 mesi fingendo di mungere le mucche nelle fattorie dell'Iowa”, aggiunge Frabrizio Tonello. Anche se il campione è limitato queste consultazioni hanno infatti un grandissimo impatto sulle possibilità di successo finale: “Vincere per esempio sia in Iowa che in New Hampshire significherebbe ricevere immediatamente un'ondata di finanziamenti spontanei. Al contrario è molto raro che alla fine del processo vinca la candidatura di qualcuno che è andato male nei primi Stati”.

Certamente il quadro sarà molto più chiaro dopo il 3 marzo, quando si voterà contemporaneamente in 14 Stati, tra cui alcuni molto grandi come il Texas: il cosiddetto ‘Super Martedì’. “Difficile fare previsioni, ma credo che dopo il Super Tuesday resteranno in campo solo due candidati, uno per l'area centrista e l'altro per l'area più a sinistra del partito. Al momento potrebbero trattarsi di Biden e di Sanders, ma può succedere davvero di tutto: ad esempio che Biden vada male e quindi l'area più moderata del partito scelga di aggregarsi attorno a un candidato come Buttigieg, che è giovane ma per così dire centrista. Così come è possibile che Sanders susciti dubbi per l’età o per il suo radicalismo, e che invece vada bene Elizabeth Warren, anche lei collocata alla sinistra del partito. Può anche darsi che in seguito i due candidati arrivino appaiati fino alla convention, contendendosi la candidatura fino all'ultimo voto come è successo nel 2016 tra Hillary Clinton e Bernie Sanders e nel 2008 tra Clinton e Obama”. In attesa che, il 3 novembre, gli Stati Uniti tornino a scegliere il loro presidente.

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