SCIENZA E RICERCA

Tonni, pesci rostrati e squali, sentinelle della salute degli oceani. Uno studio lungo 70 anni

Si parla spesso dell'urgenza di azioni concrete di tutela e conservazione per arrestare e invertire la perdita di biodiversità, in questo caso marina. Ora lo studio Seventy years of tunas, billfishes, and sharks as sentinels of global ocean health, pubblicato recentemente su Science e condotto dal centro tecnologico spagnolo AZTI, in collaborazione con la canadese Simon Fraser University (SFU) e l'americana International Seafood Sustainability Foundation, propone una analisi approfondita dello "stato di salute" degli ecosistemi pelagici partendo dai risultati ottenuti attraverso il monitoraggio dell'evoluzione del rischio di estinzione di alcune specie marine nel corso degli ultimi settant'anni. I risultati avvalorano l’importanza della conservazione, sottolineando la necessità di un’immediata attuazione di misure di gestione degli squali, che sono ad oggi i più vulnerabili.

Il ruolo di 18 specie pelagiche nel buon funzionamento degli ecosistemi

Il rispetto della Convenzione per la conservazione della diversità della natura e degli Obiettivi di sviluppo sostenibili resta la principale motivazione per la ricerca ed è alla base anche di questo studio, che si concentra sulle analisi quantitative del tasso di sfruttamento e sul rischio di estinzione in 18 specie pelagiche, tra cui specie di tonni, pesci rostrati e squali. Queste specie sono essenziali per il buon funzionamento degli ecosistemi pelagici, per il loro ruolo di predatori e per la loro differente resilienza allo sfruttamento della pesca professionale. Le caratteristiche biologiche, come il tasso di crescita e l’età di prima riproduzione, sono indubbiamente aspetti della biologia della specie che contribuiscono alla vulnerabilità allo sfruttamento da pesca. Mentre tonni e rostrati possono essere soggetti a catture “target”, per quanto riguarda alcune specie di squalo si parla di catture “by-catch”, ovvero catture accidentali.

Settant'anni di dati e modelli matematici

Attraverso la raccolta e l'analisi di una lunga serie di dati, dal 1950 al 2019, gli autori hanno unito gli aspetti quantitativi della scienza della pesca, applicando il concetto del massimo rendimento sostenibile - Maximum Sustanable Yield (MSY) -, un pilastro per lo sviluppo sostenibile della pesca professionale, e l’indice di rischio d’estinzione - Red List Index (RLI) - utilizzato convenzionalmente dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, International Union for the Conservation of Nature (IUCN). Attraverso la combinazione dei due approcci si determina quando una specie può essere considerata ‘sfruttata’ in maniera sostenibile, con un basso rischio d’estinzione: questo avviene quando lo sforzo di pesca a cui quella specie è soggetta risulta al di sotto di un valore soglia, oltre il quale invece la popolazione sfruttata tenderebbe a diminuire nel tempo. I parametri di riferimento utilizzati nella valutazione degli stock ittici sono calcolati attraverso modelli matematici, applicando il principio del MSY. “Since 1950, the global RLI trajectory of oceanic predatory fishes worsened by ~27% (95% CI 24.4, 31.1) reflecting the increasing extinction risk of the whole assemblage until recovery became apparent in 2008”.

Dal 1950 il rischio estinzione dei predatori oceanici è sempre peggiorato, a causa della pressione di pesca, fino alla fine degli anni 2000, quando azioni di gestione hanno ridotto la mortalità per pesca consentendo il recupero di tonni e pesci rostrati

L'aumento dello sforzo di pesca e il "destino" degli squali

Fino al 2008 si è notato un evidente aumento del rischio di estinzione di questi predatori marini, con un successivo cauto miglioramento per sei specie, tra tonni e rostrati. La situazione, però, è rimasta estremamente critica per quel che riguarda le specie di squalo, con netto calo della popolazione. Questi predatori marini restano, dunque, i più vulnerabili. Se si segue l’aumento dello sforzo di pesca si vede che nel 1993, secondo i modelli di MSY, i livelli sono stati superati, crescendo ancora fino a raggiungere un picco nel 2006, anno dopo il quale i trend del rischio di estinzione si sono attenuati grazie all’entrata in vigore delle misure sulla pesca delle specie di tonni e rostrati, imposte dalle organizzazioni di gestione della pesca regionale: Regional fisheries management organizations (RFMO). Queste organizzazioni sono grandi agenzie governative che lavorano nei diversi oceani e bacini del pianeta. Principalmente, le misure introducono regole di controllo dello sbarcato e limiti sulle quantità pescabili di tonni e rostrati durante l'intero anno. Purtroppo per la sorte delle specie di squalo non sono state ancora adottate misure in grado di invertirne il declino. Come sottolineano gli autori dello studio, le misure sulla mitigazione degli attrezzi da pesca sulle catture accidentali, il divieto di cattura per alcune specie di squalo (dei generi Alopias e Sphyrna) e l'adozione di regimi di raccolta dati per queste catture sono pratiche che non hanno ancora portato all’effetto desiderato, ovvero quello di ridurre la pressione di pesca su queste specie.

CITES 

Se da una parte il lavoro pubblicato su Science ha evidenziato come le misure di gestione abbiano portato a una maggiore sostenibilità della pesca di pelagici, che fornisce occupazione e sostentamento a una fetta molto ampia della popolazione mondiale, dall'altra risulta ora fondamentale aggiustare la mira anche per quel che riguarda le misure a tutela delle specie di squalo.

Intanto, una notizia arriva dalla CITES: il 17 novembre scorso 54 nuove specie sono state inserite nella Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora. Questo evento potrebbe essere visto come parte di un percorso, seppur ancora lungo e tortuoso. Non si tratta certamente della soluzione del problema della gestione delle specie di squalo, ma è un passo avanti.

Gli strumenti per valutare l’efficacia delle misure che verranno adottate in futuro sono state già state presentate e solo attraverso un approccio analitico vedremo se verrà fatto abbastanza per tutelare la diversità degli sconfinati ecosistemi pelagici del nostro pianeta.


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