La verità vi prego sull'amore: Cleopatra e Frankenstein di Coco Mellors

C’è in giro una nuova generazioni di scrittori. Non hanno nemmeno trent’anni e cercano, con le loro opere (prime, spesso), di farsi strada tra i rovi delle vite. Quelle dei loro personaggi, certo; ma più in generale la loro ricerca – e una conseguente forma di sperimentalismo – s’incentra sulla possibilità di cogliere gli universali delle vite umane, anche quando tutto pare cambiato. A maggior ragione, anzi, quando tutto sembra, o è, andato avanti.
Un tema cardine di questi romanzieri è inevitabilmente l’amore, proprio perché le forme in cui si manifesta sono oggi spesso mediate da nuovi modi di comunicare e alterate da un disagio individuale e sociale che, al netto dell’apparente maggiore libertà di cui per fortuna disponiamo nelle istituzioni dell’amore (divorzio, unioni civili ecc.), lo investono in forme più o meno dirette.
Chi ritiene quindi che l’inglese Coco Mellors (trasferitasi a 15 anni negli USA) con Cleopatra e Frankenstein (Einaudi, 2023) abbia scritto poco più che un romance si sbaglia di grosso.
È vero: la storia è di lei e di lui che si conoscono una notte di Capodanno nell’ascensore di un grattacielo newyorkese, lui ci prova e lei ci sta, e complice il visto (Cleo è inglese, Frank americano) che a Cleo serve, dopo nemmeno sei mesi si sposano: le cose però nell’arco di un tempo relativamente breve si complicano (lei lo tradisce con l’amico con cui aveva un legame molto stretto ancor prima di conoscere Frank; lui si innamora di una collega) con conseguenze inevitabili.
Ma anche se raccontassimo la trama di Jane Austen o di Cime tempestose ci parrebbe di sentire un refrain abbastanza noto. L’elemento cardine da tenere a mente quando si legge (o si giudica) oggi un romanzo d’amore è quanto l’autore o l’autrice riescano, attraverso le strutture e gli stilemi universali, a raccontarci di noi. A farci intuire la complessità della sinusoide emotiva che sempre ci attraversa, a tessere una rete di personaggi, eventi e relazioni che sia uno specchio dell’eterogeneità del mondo.
E questo Mellors fa. Come Sally Rooney, come Jem Calder, solo per citarne due di cui abbiamo parlato in queste pagine.
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Cleo è orfana di madre, il padre si è risposato con una donna che la avversa, e la ragazza, poco più che ventenne, non è mai riuscita a superare il lutto: forse ha scelto Frank, più vecchio di lei di vent’anni, anche perché (sperava) potesse curarle quella ferita?
“La madre di Cleo avrebbe adorato quella chiesetta. Diceva sempre che in ogni edificio dovevano esserci due parti di felicità è una di desiderio: Cleo non aveva mai capito cosa intendesse, ma ora quella frase riaffiorava come una specie di profezia. Due parti di felicità, una di desiderio. Sembrava una buona formula di vita, anche se il senso continuava a sfuggirle”.
E nella storia che Coco Mellors sciorina tra le pagine, sono tutti velatamente alla ricerca di una ricetta per sopravvivere a loro stessi. Frank, infatti, nonostante diriga brillantemente un’agenzia di branding, ha dei problemi con l’alcol; il migliore amico di Cleo, Quentin, nasconde, con sofferenza, alla famiglia la sua omosessualità e si è appena lasciato dal compagno; Zoe, la giovanissima sorella(stra) di Frank, una bella ragazza di colore ancora indecisa sul futuro, cerca di farsi salvare (e mantenere) da un uomo. Non è solo Cleo ad essere fragile: tutti i personaggi di questa storia tendono verso un altrove che possa essere salvifico. E che non c’è.
“A Quentin piaceva un sacco fingere che [lui e Cleo] stessero insieme. Cleo si domandava sempre se non fosse una sorta di fantasia segreta: una in cui lui non doveva nascondere ai parenti la sua vera identità. Come fargliene una colpa d’altronde? Era questo che aveva imparato dalla sua famiglia: per essere amati bisogna mentire”.
E poi c’è lei, Eleanor, che compare a sorpresa quasi a metà romanzo e che sposta la narrazione in prima persona. A dire io, quindi, nella storia di Cleo e Frank narrata in terza, la romanziera sceglie, inaspettatamente, che sia una persona altra. Un’esterna. Lei che apparentemente è la più impotente, la meno di successo, la più defilata, si conquista immediatamente il cuore del lettore (e di Frank).
Di sé dice: “Okay, bella non sono. Certa gente ha il diabete. Altri hanno sei dita dei piedi. Altri restano intrappolati nell’incendio di un bosco e si procurano ustioni di terzo grado in tutto il corpo. Altri soffrono di emicrania per mesi e fanno finta di niente, poi vanno dal medico e scoprono di avere un tumore al cervello che li accoppa nel giro di settimane senza che abbiano espresso il loro potenziale. A me è capitato di non essere bella. Alleluia”.
Grazie a lei il lettore può far riposare l'angoscia, rilassare il sorriso teso, rendersi conto che le idiosincrasie contemporanee non sono una condanna. In lei si può immedesimare, e non solo perché è imperfetta, ma perché ha voglia di leggere la vita fino all'ultima pagina ma senza aspettative. Da qui in avanti la storia corre: Frank e Cleo si perdono, sventatamente toccano il fondo, ma continuano a galleggiare perché il mare tiene su chi a lui si affida.
E si arriva al lieto fine (anche se non è quello atteso) preconizzato (forse) proprio da un dialogo tra Frank ed Eleanor:
“Dovresti provarci –disse lei. – Per avere ciò che non hai mai avuto devi fare ciò che non hai mai fatto. Insomma, più o meno.
– Urca, esclamò Frank. – E questa dove l’hai sentita? Nel programma di Oprah?
– L’ho letta su una calamita attaccata al frigo di mia madre”.
“ – Per avere ciò che non hai mai avuto devi fare ciò che non hai mai fatto. – Urca. E questa dove l’hai sentita? Nel programma di Oprah? – L’ho letta su una calamita attaccata al frigo di mia madre Coco Mellors
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