Comunicare la scienza tra incertezza e nuovi linguaggi
“In questi giorni ho visto una comunità che si muove sul filo di contraddizioni profonde. Ci sono sfide assolutamente al di sopra della nostra portata individuale di comunicatori e comunicatrici della scienza. In questa contraddizione però emergono segnali di resistenza, un desiderio di raccontare i fatti in modo diverso, di porre dei freni. Le emozioni in aula erano palpabili. Oggi chi si occupa di comunicazione della scienza sta assumendo la consapevolezza di avere responsabilità inedite in uno scenario in fase di cambiamento”.
A parlare è Nico Pitrelli, responsabile dell’Ufficio Comunicazione della SISSA di Trieste, dove nei giorni scorsi si è tenuto il XIV Convegno Nazionale di Comunicazione della Scienza (CNCS). Quattro giorni di tavole rotonde, laboratori interattivi, incroci tra saperi diversi e differenti modi di comunicare la scienza che hanno riunito professionisti e professioniste del settore.
Il convegno ha rappresentato un’occasione per discutere e confrontarsi su alcuni dei temi che oggi accendono e polarizzano particolarmente il dibattito pubblico e scientifico, come il cambiamento climatico, il colonialismo scientifico, le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, il ruolo dei social come strumento di divulgazione scientifica, l’impatto delle ideologie autoritarie sulla libertà della ricerca e della comunicazione scientifica a partire dagli Stati Uniti, ma non solo.
Raccontare la scienza: un gesto a volte “sovversivo”
Durante il dialogo tra la storica della scienza Naomi Oreskes e Massimo Polidoro, per esempio, si è riflettuto proprio sull’attuale politica statunitense: “Trump è una figura complessa – argomenta Oreskes, autrice con Erik M. Conway di Mercanti di dubbi e Il grande mito–: sotto alcuni aspetti si presenta come un personaggio di rottura rispetto alle politiche degli ultimi quarant’anni, per altri versi invece si pone in continuità. Sul fronte della scienza non fa eccezione: asseconda l’azione di grandi aziende che hanno tutto l’interesse a delegittimare la ricerca scientifica, perché la scienza fornisce le basi per la regolamentazione.
È successo, per esempio, con il buco dell’ozono, quando le evidenze scientifiche hanno portato allo sviluppo di politiche ambientali più stringenti. Attaccare la scienza significa, di fatto, indebolire le regole che limitano il potere economico delle industrie. E Trump, opponendosi alla scienza e all’accademia, mina proprio quella regolamentazione pubblica del mercato che tutela la collettività”.
Secondo Oreskes, è fondamentale che il giornalismo scientifico mostri chiaramente la differenza tra conoscenza e propaganda. Ciò va fatto, per esempio, distinguendo le evidenze sul cambiamento climatico raccolte dalla comunità scientifica dalle narrative promosse dai portavoce dell’industria dei combustibili fossili, che negano quelle evidenze per convenienza economica.
Sono questioni da non sottovalutare quando si riflette sul senso stesso della comunicazione. Durante il Convegno, infatti, si è discusso più volte di come il tentativo di raccontare la scienza con la massima oggettività possibile stia quasi diventando un atto “sovversivo”.
La scienza come lente interpretativa del mondo
Un altro dei fili rossi di questa edizione del CNCS ha riguardato l’incertezza nella scienza. L’attività scientifica, infatti, ha di per sé sempre dei limiti: come ha affermato Massimo Polidoro in una intervista a Il Bo Live, “la scienza non produce verità dogmatiche, ma conoscenza probabilistica”. Ecco perché l’incrocio tra discipline, punti di vista e saperi diversi può essere la strategia vincente per rendere la scienza e la sua comunicazione più democratica, capace di ampliare il proprio sguardo e mettersi in discussione.
“Mi sembra – continua Nico Pitrelli – che in Italia stia maturando una consapevolezza che va oltre la retorica e che apre a una reale capacità di ascolto. Abbiamo visto emergere una forte riflessione sul bisogno di rinnovare metodi, formati e linguaggi per uscire dagli schemi e favorire una commistione sempre più significativa tra la scienza e le altre forme della cultura. Una scienza non soltanto chiamata a spiegare, ma capace di diventare lente interpretativa del mondo, fonte di ispirazione e di interrogazione per le altre pratiche culturali. Anche la valutazione dell’impatto della comunicazione scientifica si muove in questa direzione: riguarda l’etica, certo, ma anche la cura e la qualità con cui la divulgazione viene pensata e organizzata”.
La comunicazione scientifica non si limita dunque solo a raccontare la ricerca, ma sensibilizza, allena al pensiero critico, apre spazi di dialogo. In questo senso il convegno è stato anche un’occasione per riflettere sul modo in cui diversi attori, tra cui musei, festival scientifici, social media manager e persino game designer possono contribuire a questi obiettivi, ognuno con linguaggi e metodi differenti.
Informazione indipendente, nuovi spazi nelle Accademie
Tra i vari strumenti disponibili, anche i giornali, cartacei e online, costituiscono uno strumento importante. E le esperienze nate in seno alle università possono ambire a diventare spazi di informazione indipendente. Elisabetta Tola, caporedattrice de Il Bo Live, è intervenuta sul ruolo dei magazine universitari nel panorama della divulgazione scientifica nazionale insieme a Mauro Ravarino, caporedattore di Otto, e Chiara Palmerini, direttrice responsabile di Open IMT .
“Io sono convinta — sottolinea Tola — che il giornalismo dei media tradizionali stia attraversando una crisi profonda: non c’è più lo spazio, non ci sono le risorse e spesso manca anche la volontà di sostenere un giornalismo realmente indipendente, capace di andare a fondo con uno sguardo coraggioso. È per questo che oggi l’Accademia può diventare quel luogo che i media non riescono più a essere. In tutta Europa stanno nascendo molte realtà indipendenti, perché quando si intende praticare un certo tipo di giornalismo, l’unica possibilità concreta è costruire il proprio spazio, il proprio media.
Credo che l’Accademia, forte della sua missione di tutela della libertà di pensiero, della libertà della ricerca e della produzione di conoscenza dentro un quadro etico solido, possa fare un passo in più: portare la diffusione della conoscenza oltre le forme tradizionali e aprirla anche al linguaggio nuovo del giornalismo contemporaneo”.
E si sofferma in particolare sull’esperienza padovana: “Il Bo Live è parte della terza missione dell’Università di Padova, naturalmente. Ma qui la comunicazione cambia volto: invece di parlare al mondo attraverso un canale istituzionale, si allarga a una platea diversa, accoglie voci diverse, si mette in relazione. È un cambiamento culturale e io personalmente credo moltissimo in questo modello. E credo che un incontro come quello di oggi possa diventare una riflessione utile anche per altri magazine universitari. I magazine istituzionali esistono in tutte le università, la vera sfida, ora, è riuscire a portare le persone su un piano non istituzionale, più aperto, più dialogico”.
La scommessa, secondo Tola, è riuscire a creare una rete nazionale di magazine universitari indipendenti.
Se il Convegno dunque ha mostrato quanto sia difficile - e al tempo stesso necessario - tendere a una comunicazione il più possibile onesta, aperta e trasparente, la speranza è che i giornali indipendenti nati in seno alle Accademie assumano un ruolo centrale nella costruzione di un ecosistema informativo più critico e consapevole.
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