SOCIETÀ

Ritorno al futuro. Herman Daly e l’economia per il bene comune

L’economia ecologica è stata, fin dalla sua nascita, una disciplina eterodossa, animata da studiosi e pensatori che, intravedendo i limiti del sistema sociale ed economico dominante, hanno avuto il coraggio di metterne in discussione i principi e di proporre alternative.

icone audio

Ascolta l'episodio 15 del podcast "Ritorno al futuro"

Tra i più notevoli esempi di questo approccio critico e attento all’analisi della realtà vi è senz’altro Herman Daly, uno dei primi e più rilevanti esponenti dell’economia ecologica, scomparso il 28 ottobre 2022 all’età di 84 anni. Economista statunitense, allievo del matematico ed economista romeno Nicholas Georgescu-Roegen, nel corso di una lunghissima carriera da docente universitario Daly ha insegnato a centinaia di studenti di economia a non accettare passivamente i dettami della teoria economica neoliberista, ma a riconoscerne le radici storiche e ad analizzarne criticamente le implicazioni non soltanto nell’ambito strettamente economico, ma anche sul piano sociale e ambientale.

Fin dalla gioventù, ancora studente, Daly comprese l’insensatezza del paradigma della crescita, che poteva essere considerato realistico solo trascurando il fatto – evidente, agli occhi di Daly, grazie all’insegnamento di Georgescu-Roegen, che aveva messo in luce come la seconda legge della termodinamica dovesse valere anche nell’ambito dell’economia, dal momento che questa si realizza all’interno del mondo fisico – il fatto, dunque, che qualsiasi processo di crescita deve avere un limite, determinato dalla disponibilità di risorse e dalla loro capacità di rigenerarsi.

Invece la crescita, nella sua accezione contemporanea, è quasi un ideale regolativo, che nulla ha a che fare con le possibilità e i limiti dettati dalla materialità di cui essa stessa si nutre. Per sostenere questo paradigma fallace, la teoria economica ha semplicemente escluso dalle proprie equazioni il mondo reale, derubricandolo a ‘pozzo’ dal quale trarre le risorse e nel quale gettare gli scarti, alternativamente.

Immaginare un mondo nuovo

Uno dei primi, importanti contributi messi a punto da Daly per evidenziare l’inconsistenza di questa rappresentazione dell’economia è un’immagine. Daly, infatti, era convinto che il primo passo per modificare una visione del mondo consistesse nel lavorare sull’immaginazione collettiva: bisognava dunque intervenire su quella che lui definiva la “visione pre-analitica” del mondo.

Così, negli anni ’70 ha elaborato un diagramma che rappresentasse il rapporto tra economia e ambiente in un modo alternativo a quello proposto dalla teoria economica mainstream, nel quale l’ambiente non è rappresentato, ma viene raffigurato soltanto un legame lineare tra estrazione delle risorse, produzione, consumo e scarto.

Il diagramma elaborato da Daly, invece, «rappresenta l’economia all’interno della biosfera», spiega Peter Victor, economista canadese e autore di una biografia di Herman Daly (Herman Daly’s Economics for a Full World: His Life and Ideas, 2021). «L’immagine mostra che l’economia ha bisogno di trarre dal pianeta materia ed energia. Alla fine del ciclo di utilizzo, alcuni dei materiali possono essere riciclati; l’energia, invece, poiché non può essere riciclata in alcun modo, si degrada attraversando il sistema economico e viene reimmessa nell’ambiente sotto forma di calore residuo. Anche i materiali, in realtà, vengono riciclati solo in parte: il resto torna nell’ambiente sotto altre forme. Un simile approccio era completamente innovativo quando venne proposto: per la prima volta si metteva in evidenza il fatto che economia e ambiente non sono due sistemi distinti, ma che sono in relazione l’uno con l’altro»; inoltre, si evidenziava come questa relazione non fosse paritaria, in quanto il sistema economico è inserito all’interno di quello naturale.

Dal riconoscimento di questo stato di cose alla proposta di modificare il sistema esistente, il passo era breve. E infatti Herman Daly lo colmò con una proposta non totalmente nuova, ma comunque radicalmente innovativa: il raggiungimento di uno “stato stazionario” dell’economia. «Di stato stazionario si erano occupati già molti economisti del passato», ricostruire Victor. «Quasi tutti gli economisti classici riconoscevano che l’economia non potesse crescere all’infinito, ma consideravano il raggiungimento di questo plateau un rischio. John Stuart Mill, grande economista inglese del XIX secolo, fu il primo a discostarsi da questa prospettiva: pensava, infatti, che il raggiungimento di uno stato stazionario fosse un evento positivo».

Proprio da queste riflessioni muoveva la proposta di Daly: una volta compreso che, vivendo in un pianeta finito, l’economia non può crescere indefinitamente, egli riconobbe che lo stato stazionario avrebbe dovuto prima o poi essere raggiunto. La questione da dirimere era se uno stato stazionario in termini fisici avrebbe dovuto realizzarsi anche in termini monetari. «La posizione adottata da Daly era che, in ultima analisi, i due aspetti non potessero essere separati; quel che bisogna tenere a mente, però, è che il suo primario obiettivo teorico era far comprendere l’ineliminabilità dei limiti fisici alla crescita economica infinita», puntualizza Peter Victor.

Prevedibilmente, le sue teorie furono a lungo respinte, «ma la cosa sorprendente è come egli sia sempre rimasto fedele a quell’idea, sempre disponibile a discuterne con chiunque, e anche a cambiare idea, qualora fosse stato necessario. Credo che sia importante riconoscere questa rettitudine all’uomo, accanto al riconoscimento dell’importanza e dell’influenza che le sue idee hanno esercitato negli anni».

Il bene comune

Un’altra fondamentale eredità teoretica lasciata da Daly, incredibilmente attuale in questo momento storico, è il riconoscimento della sostanziale differenza tra crescita e sviluppo. «Anche questa distinzione nasce dalla prospettiva secondo cui l’economia va intesa sia come entità fisica, sia come entità valoriale», nota Victor. «Daly affermava che la crescita è quantitativa, mentre lo sviluppo è qualitativo. Era convinto, quindi, che le società e le economie potessero svilupparsi continuativamente, migliorando il benessere delle persone e innalzando in modo progressivo l’assistenza sociale, senza dover ricorrere al sostegno della crescita.

Riteneva tale distinzione di estrema rilevanza, e notava con preoccupazione quanto essa venisse trascurata ad esempio nel dibattito attuale sullo sviluppo sostenibile, nel quale non vi è chiarezza sul ruolo che andrebbe riservato alla crescita. Tale mancanza di chiarezza porta a perversioni come il concetto di “crescita sostenibile”, che, se si tiene conto della natura fisica del sistema economico, è chiaramente un ossimoro».

Ma, nel corso della sua vita intellettuale, Herman Daly non ha affrontato solamente questioni strettamente economiche. Il cambiamento che auspicava per la società era onnicomprensivo, e non trascurava aspetti teorici come i fondamenti etici che dovrebbero guidare l’agire.

Di fronte a questioni complesse come la difficile risposta politica necessaria per far fronte a una questione globale come la crisi climatica, Daly non si è mai tirato indietro. Nel suo libro For the Common Good, l’economista statunitense esprimeva la sua preoccupazione circa la natura estremamente individualista del modello economico capitalista, ricorda il suo biografo. «Il concetto di Homo oeconomicus, a suo avviso, non riflette minimamente la vera natura dell’essere umano», ignorandone del tutto la dimensione relazionale ed emotiva. «Un aspetto particolarmente negativo di questa teoria economica era, secondo Daly, proprio il fatto che non avesse sviluppato una concezione ragionevole di cosa significhi essere umani. E tale concezione, secondo Herman, doveva includere anche la dimensione comunitaria: nessuno di noi, in effetti, vive come individuo isolato».

Oggi la situazione è ambivalente: da una parte, come riconosceva lo stesso Daly, si è più attenti all’importanza di questa dimensione collettiva, che si realizza sia al livello locale, nella qualità della vita all’interno delle singole comunità, sia sul piano delle istituzioni. Tuttavia, riteneva l’economista, anche se stiamo lentamente andando nella giusta direzione, ancora c’è molto lavoro da fare.

«Uno dei grandi rimpianti di Daly – afferma Peter Victor – è quello di non essere riuscito a modificare il fatto che i giovani studenti di economia ancora oggi non studino i diversi sistemi economici in maniera comparata. In questo modo, infatti, potrebbero mettere in prospettiva il sistema capitalistico, comprendendo che esistono anche altri modi di fare economia e di stare in società.

Ma sono questioni che non possono essere riassunte in un’intervista: Herman Daly ha speso una vita intera nell’affrontarle, e raccomando caldamente di leggere i suoi scritti».


Ascolta tutti gli episodi di "Ritorno al Futuro":

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012