SOCIETÀ

Ritorno al futuro. Realizzare l’economia ecologica: prospettive regionali

Una volta esplorati i principi dell’economia ecologica, teoria che si pone come alternativa radicale al modello socioeconomico attualmente dominante, abbiamo provato ad accantonare le riflessioni teoriche per avventurarci nel mondo reale, esplorando, grazie alle parole dei nostri ospiti, in che modo l’economia ecologica può essere messa in pratica.

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Adottare la prospettiva dell’economia ecologica significa, in primo luogo, riconoscere la complessità della situazione che si analizza, esaminando i molteplici fattori ed attori in gioco e considerando la loro potenziale incommensurabilità. I principi dell’economia ecologica sono un utile punto di riferimento soprattutto per le politiche vòlte alla tutela e al ripristino degli ecosistemi, così come laddove è necessario armonizzare esigenze sociali e ambientali.

In questo episodio analizziamo, attraverso le esperienze di ricerca sul campo dei nostri ospiti, due esempi di bilanciamento tra questi due elementi. Roldan Muradian – professore alla Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro e presidente, per il biennio 2022-2023, della ISEE (International Society of Ecological Economics) – discute l’esperienza latino-americana del sistema di pagamenti per i servizi ecosistemici; Tatiana Kluvankova, professoressa di Management alla Slovak Academy of Sciences, ci offre invece una prospettiva europea sulla governance dei beni comuni.

Proteggere le foreste: l’esperienza latino-americana

Interessi economici privati e tutela del bene comune sono raramente allineati. L’approccio capitalistico al mondo naturale, che considera quest’ultimo come un enorme serbatoio di risorse da sfruttare il più estesamente possibile, è un esempio lampante del conflitto che si genera quando interessi privati e collettivi, esigenze di breve termine e di lungo periodo, entrano in conflitto. È il caso, ad esempio, di attività economiche che hanno effetti negativi diretti sugli ecosistemi, come il prelievo di legname o l’allevamento, entrambi causa di disboscamento. Il sistema dei ‘pagamenti per i servizi ecosistemici’ cerca di ovviare a questo contrasto non con metodi coercitivi vòlti alla repressione dei comportamenti ambientalmente dannosi, ma, viceversa, applicando un meccanismo di incentivazione dei comportamenti virtuosi.

«In breve, i pagamenti per i servizi ecosistemici sono incentivi pecuniari messi in atto per orientare i proprietari terrieri a garantire servizi ecosistemici all'intera società. Questi ultimi sono i benefici che la società nel suo complesso, e in particolar modo gli attori economici, ricevono dagli ecosistemi naturali», spiega Muradian. Si tratta di un vero e proprio stimolo offerto dal pubblico al privato per compensare le potenziali perdite economiche derivanti dall’impegno a garantire un beneficio alla collettività. «Prendiamo un caso specifico: potremmo chiedere a un allevatore di bestiame che tiene i suoi animali al pascolo di ridurre il numero dei capi allevati così da limitare l’impatto del pascolamento sulle foreste, permettendo così che queste ricrescano. Gli ecosistemi forestali, infatti, garantiscono numerosi servizi ecosistemici: in questo caso, l’obiettivo del pagamento è che, tramite aiuti economici concreti, aumenti la probabilità di conciliare l’uso del territorio a fini privati con gli interessi della collettività».

Una simile misura, che cerca di armonizzare esigenze contrapposte pur senza trascurare la complessità del contesto sociale ed ambientale in cui esse si esplicano, presenta vantaggi e svantaggi. «I pagamenti nascono nel tentativo di trovare uno strumento non coercitivo per la regolamentazione dello sfruttamento dell’ambiente e delle sue risorse», ricorda il presidente della ISEE. «Si tratta di un meccanismo di mercato vòlto a creare incentivi diretti per ridurre la pressione sulle risorse naturali: tale strategia è, almeno sulla carta, doppiamente vincente, poiché permette ai proprietari terrieri di migliorare le proprie performance ambientali e, al tempo stesso, di avere un ritorno economico».

Una volta adottato questo approccio, sono via via emersi anche diversi svantaggi: «Il principale lato negativo è la difficoltà di applicare queste misure su larga scala, ad esempio a livello nazionale: lo stiamo sperimentando direttamente in un Paese dalle dimensioni continentali come il Brasile. Vi è inoltre da considerare il peso di una simile misura sulle finanze statali: pagare tutti i proprietari terrieri per far sì che essi assicurino la fornitura di servizi ecosistemici avrebbe costi esorbitanti».

Nonostante tutto, l’applicazione di questo schema sta avendo larga diffusione in tutta l’America Latina: come sottolinea Muradian, «proprio in questa regione si registrano numerosi casi di attuazione di questi sistemi. I pagamenti sono stati declinati in diversi modi a seconda delle esigenze locali; sono stati condotti anche esperimenti di attuazione su scala nazionale, come nel caso del Costa Rica».

Un tale ‘laboratorio’ su scala continentale è estremamente interessante, e sta offrendo molti spunti di ricerca per appurare l’efficacia di questi sistemi. «Per quanto riguarda il successo di simili iniziative, il dibattito è ancora aperto: per essere veramente efficaci, infatti, i pagamenti per i servizi ecosistemici dovrebbero indurre, in chi li riceve, cambiamenti in termini di comportamenti virtuosi e buone pratiche ben più alti rispetto a quelli osservati in chi non riceve questo genere di incentivi. Poiché valutare simili parametri in modo quantitativo non è facile, non è ancora completamente chiaro se lo schema di pagamenti sia o meno produttivo».

L'importanza della dimensione comunitaria

Attraversando l’Atlantico ci spostiamo in Europa, la quale da alcuni anni si propone – pur con alterne vicende e ricevendo critiche da più parti – come campione mondiale di sostenibilità e di transizione verde. Il Green New Deal, approvato nel 2019, mira a modificare il sistema produttivo per renderlo equo sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista sociale. Una delle sfide più urgenti che l’Unione Europea si trova oggi a fronteggiare è la transizione energetica, questione resa ancor più pressante dalla difficile congiuntura politica internazionale. «Un punto essenziale che ancora manca all’approccio europeo alla sostenibilità – afferma Kluvankova – è il riconoscimento dell’importanza dei principi della termodinamica nel funzionamento del sistema economico, come evidenziato già negli anni ’70 del Novecento da Nicholas Georgescu-Roegen, uno dei padri dell’economia ecologica. Eppure la termodinamica è, seppur implicitamente, un pilastro fondante dell’approccio dell’economia circolare: a ben guardare, lo slogan ‘riduci, riusa, ricicla’ è basato sulla legge dell’entropia, e sottolinea la necessità di ridurre l’utilizzo di energia e la creazione di rifiuti. Si tratta di un approccio diametralmente in contrasto con la visione adottata dall’economia convenzionale, che considera l’ambiente unicamente come serbatoio di risorse e destinazione ultima dei nostri rifiuti».

«L’economia ecologica, inoltre – prosegue la professoressa – insegna ad adottare, come unità privilegiata d’analisi, i sistemi socio-ecologici: introducendo all’interno di questo concetto anche i temi dell’energia, della produzione e della gestione dei rifiuti, è possibile intravedere il delinearsi di un nuovo modello economico, basato su una concezione della crescita non più quantitativa, ma qualitativa».

Il Green New Deal europeo è in tal senso particolarmente promettente, secondo Kluvankova. Approvato da tutti gli Stati membri e subito tradotto in Recovery Plans nazionali, esso potrebbe generare un impatto profondo anche su scala locale. In molti casi, perché le misure previste siano efficaci, è necessario instaurare collaborazioni con gli abitanti dei territori, coinvolgendoli direttamente per attuare in maniera sinergica i principi di sostenibilità. «In molti casi, collaborare con le comunità locali è essenziale: per questo, ritengo che migliorare la qualità di vita delle comunità locali e incentivarne la partecipazione attiva siano elementi centrali per far sì che le politiche di sostenibilità e tutela ambientale possano avere successo».

«Credo sia importante sottolineare, inoltre», prosegue la professoressa, «che, come accade con i pagamenti per i servizi ecosistemici, si debba puntare molto sul cambiamento comportamentale, a livello tanto individuale quanto collettivo». A tal proposito può essere molto utile applicare metodi di smart governance e promuovere la creazione delle cosiddette ‘smart communities’, «cioè comunità locali in cui soluzioni tecnologiche, capitale sociale e strumenti come i mezzi di comunicazione virtuali sono combinati: come suggeriva Elinor Ostrom, l’auto-organizzazione è un sistema di gestione e di governo particolarmente efficace. Sarà interessante scoprire in che modo, nel prossimo futuro, le smart communities affronteranno la sfida – amplificata dalla crisi ambientale – della gestione equa e sostenibile dei beni comuni».

Indipendentemente dal luogo nel quale si realizzano, gli esempi descritti da Muradian e Kluvankova hanno almeno un punto in comune: la centralità dell’azione collettiva e proveniente dal basso. Secondo Kluvankova, l’impegno dal basso conosce oggi un nuovo rinascimento, poiché può beneficiare di nuove piazze e luoghi di aggregazione: «Oggi, una comunità non ha più bisogno di trovare radicamento in un territorio, di condividere determinate risorse naturali. Le smart communities non devono per forza essere locali, ma possono configurarsi come virtuali, adattandosi con più flessibilità alle nuove sfide poste da una società estesa su scala globale».

Di fronte a sfide autenticamente globali, dunque, bisogna imparare a conciliare le esigenze e le spinte ‘dal basso’ con le politiche regionali e federali. «In America Latina, questo è un tema chiave», afferma Muradian. «Ad esempio, vi sono diversi esempi di pagamenti per i servizi ecosistemici che lo Stato eroga non agli individui ma alle comunità, alle quali viene dunque riconosciuta un’identità e un’ampia autonomia decisionale nell’allocazione delle risorse». Il bilanciamento ottimale nella distribuzione delle responsabilità non è, tuttavia, facile da raggiungere: «In diverse occasioni, è ancora evidente la contrapposizione tra la dimensione nazionale e quella locale, come avviene ad esempio in Brasile, nell’annoso conflitto tra governo federale e popolazioni indigene».

Pur con situazioni economiche e politiche molto differenti, entrambe le regioni considerate – il Sud America e l’Europa – presentano problematiche non così dissimili rispetto alla sfida della sostenibilità. L’economia ecologica può rappresentare, in tal senso, un valido strumento per la risoluzione di contrapposizioni in apparenza insanabili: essa, infatti, offre un punto di vista alternativo rispetto alla visione mainstream dell’economia e della società, punto di vista che potrebbe illuminare soluzioni inaspettate per fronteggiare le difficoltà del presente.


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