CULTURA

La scienza nascosta nei luoghi di Padova: la Specola, con un occhio tra le stelle

Cosa c’è di più romantico di una passeggiata in centro gustandosi le bellezze del paesaggio? Passando su un piccolo ponte si può ammirare una torre che si rispecchia nelle acque di un fiume, e si possono anche scambiare due chiacchiere con un pittore che spesso staziona lì per immortalare la scena. Peccato che poi un membro della coppia (di solito il portatore di cromosoma Y), in pieno afflato ciceroniano se ne esce con un: “Sai che lì una volta c’era un carcere?”.

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Effettivamente la Specola, con la sua meravigliosa torre che svetta dall’acqua al cielo, è un luogo denso di contraddizioni, oltre che di storia. La sua destinazione è cambiata più volte nel corso del tempo: da struttura militare a residenza signorile, da osservatorio a carcere per poi diventare museo, la natura camaleontica della Specola comincia a estrinsecarsi nel X o XII secolo e la sua fisionomia prende corpo con Ezzelino III da Romano prima e con Francesco il Vecchio da Carrara poi, che cominciò un’opera di ampliamento  della struttura originaria del 1242, a sua volta costruita attorno a una torre preesistente, la Torlonga.

All’epoca la zona su cui sorgeva il castello era considerata periferica e quindi si prestava a ospitare una torre di vedetta che fosse anche la dimora dei sovrani. Fonti malevole e pare poco attendibili raccontano delle terribili prigioni di Ezzelino, in cui i prigionieri erano vittime dei più terribili tormenti. Un aneddoto racconta anche che il costruttore, il milanese Zilio (infatti le due torri presenti all’epoca di Ezzelino venivano chiamate zilie) chiese più volte, e con insistenza, che gli venisse affidata la costruzione delle segrete, dove pretendeva che non entrasse neppure uno spiraglio di luce. Ma lui stesso, per una sorta di vendetta del Fato, fu a sua volta lì rinchiuso in seguito come rileva Rolandino, un notaio locale, nella sua Cronaca.

“[…]colui che tanto spesso era entrato di sua spontanea volontà nel carcere, quando veniva costruito, osservando attentamente, anzi ordinando, che nel carcere non rilucesse alcuno spiraglio di luce – volendo fare un luogo tenebroso, pieno di porcherie e immondizie, triste, tartareo, orribile e mortale – proprio quell’artefice stesso, in seguito preso e rinchiuso per ordine di Ezzelino, oppresso da fame, sete, vermi e fetore e dalla mancanza d’aria, come un lupo che ulula, perì miserevolmente e venne meno nel luogo così infernale che aveva preparato.”

Dopo la trasformazione in osservatorio, sul muro è rimasta anche un’iscrizione:

Quae quondam infernas turris ducebat ad umbras / Nunc Venetum auspici pandit ad astraviam

"Questa torre che un tempo conduceva alle ombre infernali, ora sotto l’auspicio dei Veneti apre la via agli astri."

In realtà pare che sia solo una leggenda diffusa dalla storiografia avversa ad Ezzelino, il cui ruolo distruttivo è stato ridimensionato in seguito: certo, le prigioni non erano certamente un luogo allegro, ma pare che non avessero nulla di diverso da quelle presenti in altri castelli.

Un’altra leggenda è quella che descrive Galileo mentre scruta i cieli con il suo cannocchiale dalla torre della Specola (il nome deriva infatti da specula, osservatorio): come rileva Valeria Zanini, referente museale della Specola, questo è impossibile, perché lo scienziato abbandonò Padova molto prima che quella torre diventasse un osservatorio: molto probabilmente il cielo raccontato nel suo Sidereus Nuncius del 1610 era stato osservato da casa sua, in quella che ora è via Galilei. In effetti l’astronomia è stata per molti anni una scienza privata, sia per Galileo che per Giovanni Poleni, che era un ingegnere idraulico che negli anni aveva messo insieme una sorta di osservatorio privato nella sua casa di via Beato Pellegrino.

Il primo ad augurarsi che a Padova fosse costruito un osservatorio fu Scipione Maffei nel 1715 e su questa strada avevano proseguito sia Poleni che Gian Alberto Colombo, che aveva giocato sul senso di competizione: aveva infatti steso un documento da inviare al podestà in cui faceva un confronto con le università estere, che erano molto più avanti. Città illustri come Parigi, Cambridge, Oxford e Vienna avevano già da tempo le loro specole, ma anche in Italia c’erano strutture dedicate all’osservazione degli astri. Colombo aveva rilevato anche come lo studio del cielo poteva portare grossi vantaggi alla Repubblica, per la navigazione in particolare. Aveva studiato persino la fattibilità economica, suggerendo di attingere per i fondi alla cassa delle Matricole. Purtroppo molte stelle dovevano ancora spegnersi prima che si passasse all’azione; nel frattempo la Specola era diventata un deposito di munizioni e le polveri vennero tolte solo il 21 marzo del 1767: stavano per iniziare i lavori che l'avrebbero trasformata nell’osservatorio astronomico (e Galileo non c’era più da anni, visto che è morto nel 1642).

 

Detta così sembra facile: in realtà è stato un percorso tortuoso che deve aver provocato notevoli bruciori di stomaco alla persona che è la principale artefice di quest’opera, Giuseppe Toaldo, professore di astronomia, geografia e meteore, subentrato a Colombo che nel 1760 aveva richiesto di passare alla cattedra di Filosofia.

Ma facciamo un passo indietro: tutto cominciò nel 1761: Padova era sotto la Repubblica di Venezia, e il Senato, anche grazie alle pressioni di Colombo, aveva emanato un decreto che stabiliva la costruzione di un osservatorio, in linea con la riforma universitaria che doveva potenziare il sistema cultura anche attraverso quelli che ora chiameremmo “laboratori” e che prevedevano puntuali osservazioni della natura da parte degli studenti.Qualcuno dice che, una volta presa una decisione, si è già a metà del lavoro. Nel caso dell’osservatorio non fu così. Anche solo stabilire la sua posizione non fu immediato, e anzi all’inizio si era pensato di utilizzare la torre del Bo, perché bisognava partire da una struttura già esistente per pressanti ragioni economiche. Il pubblico matematico della Repubblica Antonio Giuseppe Rossi fu però entusiasta della proposta di Toaldo di usare invece la torre più alta dell’antico castello, la Torlonga.

Toaldo aveva assunto anche il compito di visitare le altre specole italiane (mentre non andò mai all’estero): non riuscì a visitare quella del collegio dei Gesuiti di Brera perché c’era stata un’ondata di freddo eccezionale (cosa che rafforzò forse la sua convinzione dell’utilità delle osservazioni metereologiche), ma visitò quelle di Pisa e di Bologna. La prima venne giudicata poco funzionale, mentre la seconda lo entusiasmò e si fece strada in lui l’idea che nella costruzione degli osservatori era indispensabile che l’architetto designato lavorasse a fianco di un astronomo, perché non succedesse come a Pisa, dove non c’era sufficiente spazio per astronomi e strumenti. Su imput di Toaldo, si decise di chiamare come architetto il suo compagno di studi al seminario vescovile, Domenico Cerato, e il 5 gennaio del 1767 i lavori furono autorizzati e a marzo iniziarono.

Ci vollero dieci anni per completare l’opera,anche a causa delle ulteriori spese che si rendevano necessarie di volta in volta. Il progetto prevedeva un osservatorio inferiore e uno superiore: il primo è la Sala della Meridiana ed è a 16 metri d’altezza, da dove si poteva misurare il mezzogiorno locale sulla linea meridiana scolpita sul pavimento. Sopra questa sala c’era una terrazza da cui si compivano le osservazioni metereologiche. L’osservatorio superiore era a 35 metri dal terreno, aveva otto pareti ed era dedicato alle osservazioni con il cannocchiale.

L’ottagono era circondato da una terrazza di forma quadrata. Prima ancora che l’opera fosse finita, Toaldo fece installare un parafulmine sulla sommità della struttura: fu il primo della Repubblica Veneta e poi ne seguì uno anche sulla torre del Bo.
Nel 1777 i lavori furono ultimati e Toaldo, con l’acquisto di strumenti avveniristici per cui aveva chiesto la consulenza dell’astronomo reale di Greenwich, Nevil Maskelyne, procedette con gli studi del cielo e dei fenomeni naturali che già prima avevano costellato la sua vita, potendoli ampliare di molto grazie all'osservatorio e ai nuovi strumenti.

Come rileva Zanini, un episodio curioso riguarda la situazione lavorativa dei poveri astronomi, che non avevano certo pensato a creare un sindacato: purtroppo sotto la torre della Specola c’era uno squero: di giorno si riparavano le barche e c’era quindi un notevole rumore. Ma il peggio succedeva di notte: mentre gli astronomi erano intenti a scrutare il cielo, da terra salivano i fumi della pece che veniva bruciata per il giorno dopo, quando a furia di martellate gli operai dello squero impedivano il riposo agli ospiti della casa dell’astronomo: una situazione ben poco salubre.

Purtroppo il momento di massimo splendore fu di breve durata: alla morte di Toaldo il direttore diventò suo nipote Vincenzo Chiminello, ma già nel 1797, con la caduta della Repubblica Veneta, l’osservatorio vide una fase di declino, peggiorato dall’alternanza di francesi e austriaci. Nel 1807 il castello assunse di nuovo la sua antichissima funzione, quella di carcere. Parallelamente, Giuseppe Lorenzoni, diventato direttore dopo Giovanni Santini, ebbe il merito di ampliare la strumentazione dell’osservatorio con un rifrattore Merz con l’obiettivo che misurava 19 centimetri, posto sul bastione trecentesco nei dintorni della Specola nel 1882. Fu l’ultimo strumento acquistato dall’osservatorio, perché i direttori successivi si ritrovarono a scontrarsi con una desolante mancanza di fondi.

Durante la Prima Guerra mondiale la Specola visse un ulteriore periodo di crisi: l’attività era rallentata dall’occupazione militare e furono addirittura requisiti strumenti come il telegrafo e i cannocchiali, e la torre fu trasformata in un punto di vedetta per dare l’allarme nel caso arrivassero aerei nemici. Per fortuna dopo Caporetto il direttore Antoniazzi riuscì a mettere in salvo quasi tutti gli strumenti e i libri della Specola, inviandoli direttamente in altre città italiane (per esempio il circolo mediano fu inviato al rettore di Macerata). Solo un anno dopo l’armistizio di Villa Giusti furono restituiti all’università i locali dell’osservatorio.

Anche la costruzione della succursale dell’Osservatorio  non fu priva di ostacoli e rallentamenti: come era accaduto per la Specola, non si riusciva a decidere il luogo migliore (Bassano o Asiago?) ma nel 1932 a Giovanni Silva, nuovo direttore dell’Osservatorio, furono promessi dei fondi direttamente dai vertici: all’epoca infatti le università e gli osservatori afferivano allo stesso ministero, quello dell’Educazione Nazionale. Se l’università mancava di fondi, poteva chiedere un aiuto al suddetto ministero. Peccato che Silva non si fosse reso conto che in tal modo non poteva lavorare in autonomia: chiese preventivi, convocò commissioni, propose collaborazioni. Inutilmente, visto che erano azioni di cui avrebbe dovuto occuparsi il Ministero. Questo gli fece perdere autorevolezza, ma va comunque ricordato per aver portato avanti il progetto, con il nuovo osservatorio che venne inaugurata ad Asiago il 27 maggio del 1942, a 300 anni esatti dalla morte di Galileo e che prese il nome di Osservatorio astrofisico dell’università di Padova.

A questo punto, la Specola stava perdendo la sua connotazione di osservatorio, anche a causa dell'inquinamento luminoso che c'era in centro. L’obsolescenza degli strumenti che non venivano rimpiazzati impediva di continuare le ricerche astrofisiche, ma erano stati creati uffici amministrativi e alcune stanze fungevano da studi per i docenti. In questo modo, la Specola diventava la sede dell’Istituto di astronomia dell’università dal 1968, quando fu appunto introdotta la laurea in astronomia. Nel 1994 la torre dell’osservatorio diventò il Museo la Specola, tutt’ora visitabile. La Specola inoltre è tutt'oggi la sede dell'Osservatorio Astronomico di Padova, una delle più importanti strutture dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, l'ente pubblico di ricerca preposto alle ricerche astrofisiche.

La storia dell’osservatorio è una delle tante dimostrazioni del fatto che il progresso è frutto di un’accurata pianificazione e dell’attività di grandi personaggi dalla spiccata testardaggine e che, come diceva Churchill:

Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti

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