Foto: Massimo Pistore.
Cos’ha a che fare la scienza con un istituto di formazione religiosa? Più di quando non si creda: almeno se si parla del Seminario maggiore di Padova, che tra il Settecento e l’Ottocento fu in grado di competere con l’università non solo negli ambiti del diritto, delle lettere e della filosofia, ma anche nelle stesse scienze. Tra le caratteristiche che infatti il vescovo Gregorio Barbarigo (1625-1697) volle imprimergli fin dalla sua fondazione ci fu sempre anche una grande apertura alle idee e alle conoscenze più diverse: non è un caso se a fondare presso la Specola l’osservatorio astronomico di Padova sia stato Giuseppe Toaldo, sacerdote educato nel Seminario di Padova e docente di Astronomia e meteore all’università di Padova.
Fu lo stesso Gregorio Barbarigo a dotare il Seminario di una grande biblioteca e di una tipografia, dove già nel 1698 venne stampata un’edizione del Corano con testo in caratteri arabi affiancato dalla traduzione in latino; sempre qui nel 1791, in pieno furore rivoluzionario, venne impressa anche una versione italiana dell’Encyclopedie. Ed è proprio il patrimonio librario, forte di circa 300.000 volumi antichi e moderni accumulato in secoli di donazioni e di lasciti, una delle espressioni più imponenti di questa eredità culturale.
Ancora oggi, nell’ala occidentale del grande complesso edilizio tra Prato della Valle e il naviglio interno, è possibile visitare le tre grandi sale monumentali della Biblioteca antica, realizzate tra il 1720 e il 1740 e arredate con gli imponenti armadi disegnati dall’architetto padovano Giovanni Gloria e con quelli provenienti dall’ambito del noto intagliatore bellunese Andrea Brustolon (dono di Jacopo Facciolati). Sono tanti i tesori custoditi ancora oggi nella biblioteca, ma tra i pezzi forti (assieme a una lettera autografa del Petrarca) c’è sicuramente il codice 352: una preziosissima prima edizione del Dialogo sopra i due massimi sistemi, in cui Galileo illustra e difende il sistema eliocentrico di Copernico, fitta di annotazioni e di aggiunte da parte dell’autore.
Un volume di valore inestimabile che ancora oggi ci aiuta a entrare nella mente del grande Pisano, in particolare durante gli anni difficili del processo e dell’abiura: “Voi sete che cagionate l'eresia – annota ad esempio Galileo a proposito di chi lo accusa di voler introdurre delle novità nella dottrina – , mentre, senza cagione alcuna, volete che il senso delle Scritture sia quello che piace a voi”. Altrove invece l’amarezza cede il posto all’orgoglio, con la rivendicazione della propria dignità e indipendenza di scienziato: “lo vi cedo in teologia – riporta un’altra postilla – […ma] di conoscer quel che convien decretare in materia dell'opinione del Copernico, credo di superare qualche – nel resto – grandissimo scritturista”. Parole che documentano in maniera preziosa, per dirla con don Claudio Bellinati, storico e grande conoscitore delle cose padovane, “il conflitto che allora passò (e può passare tuttora) tra scienza e fede, tra libertà e autorità”.
“ Voi sete che cagionate l'eresia, mentre, senza cagione alcuna, volete che il senso delle Scritture sia quello che piace a voi Galileo Galilei
Come arriva il volume nella sua attuale collocazione? La copia del Dialogo fu lasciata in eredità al Seminario dallo stesso cardinal Barbarigo, a cui con tutta probabilità era stata data dal nipote dello scienziato, Cosimo Galilei, che per cinque anni era stato suo segretario. Cosimo era figlio di Vincenzo Galilei, che aveva raccolto ad Arcetri l’ultimo respiro del padre Galileo assieme a Viviani e a Torricelli, rimanendo erede dei suoi oggetti e quindi anche dei suoi libri. Del resto il Dialogo sopra i massimi sistemi non è l’unico libro del padre che Vincenzo Galilei portò con sé: gli scaffali della Biblioteca antica custodiscono infatti anche una copia del Dialogo della musica antica et moderna, scritto da Vincenzo, padre di Galileo, e un’edizione cinquecentesca dell'Ottica di Euclide, entrambi con annotazioni del grande scienziato.
Da quello che possiamo immaginare Cosimo portò con sé i libri quando prese servizio presso il Barbarigo (allora vescovo di Bergamo) e con tutta probabilità li lesse e li commentò assieme al prelato, il quale era notoriamente appassionato di scienza. Tra i 1124 libri lasciati in eredità dal vescovo alla biblioteca infatti ce ne sono oltre un centinaio di matematica e di astronomia (tra cui le opere di Euclide, Ticho Brahe, Keplero, Landsberg…), ma anche una nutrita raccolta di carte geografiche e soprattutto le opere complete di Galilei, tra cui – per l’appunto – la copia del Dialogo ancor oggi a Padova. La matematica per il Barbarigo era una passione fin dalla giovinezza, tanto che spesso si propose di dedicarle meno tempo, in modo da non tralasciare i compiti pastorali.
Se consideriamo che già nel 1633 il Dialogo sopra i massimi sistemi era stato messo all’Indice dalla Chiesa, arriviamo alla conclusione che per 40 anni il cardinale tenne nella sua biblioteca un libro proibito. Il Barbarigo del resto provava evidentemente simpatia per Galileo: non solo perché chiamò presso di sé il nipote, ma anche perché spesso ospitò Nicolò Sagredo (nipote di quel Sagredo che, assieme a Simplicio e a Salviati, è uno dei personaggi del Dialogo), inoltre caldeggiò fortemente – non riuscendovi – l’elezione alla cattedra di matematica presso l’Università di Padova di Vincenzo Viviani, scolaro prediletto del Pisano. E proprio presso il Seminario, un secolo prima che il nome di Galileo fosse tolto dall’indice dei libri proibiti (cosa che avvenne nel 1835), venne tentata la pubblicazione delle sue opere, divise in quattro tomi, ad opera proprio di Giuseppe Toaldo, fra cui (al quarto tomo) proprio una nuova edizione del Dialogo “accresciuta di molte cose inedite”, integrata cioè con le annotazioni autografe ancora oggi custodite presso la bilioteca.
Anche in epoche più recenti, l’attenzione per la scienza è rimasta uno dei segni caratteristici del Seminario di Padova. Lo testimoniano ad esempio i documenti, custoditi sempre presso la Biblioteca, di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1736- 1814), considerato tra i maggiori geografi e cartografi italiani in età moderna, e preziosi strumenti come il globo celeste dell’astronomo Joseph-Jérôme De La Lande e il globo terrestre del cartografo Rigobert Bonne, realizzati a Parigi rispettivamente nel 1775 e nel 1778, ancora oggi esposti presso le sale della Biblioteca antica.
E, cosa che ancora oggi può suscitare stupore, sempre il Seminario Maggiore fu per decenni sede di uno dei laboratori di fisica (o “gabinetti”, secondo la terminologia dell’epoca) più ricchi e attrezzati della città: centinaia di strumenti ed oggetti che sono stati utilizzati sino ai primi decenni del Novecento come supporto alle attività didattiche per i giovani seminaristi, e che oggi sono raccolti in uno spazio di circa 300 metri quadrati situato al terzo piano dell’edificio. Un patrimonio che a partire dal 2011 è soggetto a un’opera di censimento e restauro con l’aiuto della milanese Associazione per il Restauro degli Antichi Strumenti Scientifici (ARASS-Brera), che da oltre 15 anni si occupa di restauro e recupero di strumentazione scientifica presso istituzioni pubbliche (come l’orologio monumentale di piazza dei Signori).
Ne è risultato un inventario di 669 strumenti scientifici, di cui 282 (le cui schede sono pubblicate on line sul sito dell’Associazione) di alto interesse storico e scientifico, tra cui una pila costruita e donata al Seminario da Alessandro Volta. Una testimonianza ulteriore di quanto le scienze naturali siano state tenute in considerazione a Padova nei secoli.
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