Archivio storico dell'Università di Padova, 727, perizia del Proto Bonato, 1792
Dicembre 1635, Galileo Galilei chiedeva in una lettera indirizzata a Fulgenzio Micanzio (1570-1645) già collaboratore di fra Paolo Sarpi e suo successore a consultore teologo della Serenissima, notizie di un costruttore di strumenti scientifici padovano, Marcantonio Mazzoleni.
Micanzio rispose a stretto giro che purtroppo Mazzoleni era morto di peste due anni prima; da allora, aggiungeva, non vi era più nessuno in grado di costruire un compasso ideato e descritto in un volumetto dal Galilei e prodotto dal Mazzoleni.
“ è cosa strana che, sendo di così importanti usi, si lasci perir l’inventione, e che non si trovi né anco il discorso dell’uso, quale cerco con smania
Con queste parole Micanzio faceva trasparire la sua delusione nei cambiamenti negli orizzonti culturali della Serenissima.
Galileo conosceva bene Mazzoleni: dal 1599 al 1603 lo aveva persino accolto in casa allestendo per lui un laboratorio per la produzione di astrolabi, bussole, compassi storti e appunto compassi geometrico-militari da vendere agli studenti italiani, tedeschi, boemi, inglesi che venivano a Padova.
Altri strumenti, come confermano le parole raccolte in una deposizione del maggio 1607 di Marcantonio, erano destinati a personalità di prestigio:
“ gnene ho fabricati dua di argento, uno che mi disse esser per il Serenissimo Arciduca Ferdinando d’Austria, et l’altro per uno de gl’Illustrissimi et Eccellentissimi Landgravii di Assia...
Dei diciotto anni passati da Galileo a Padova (1592-1610) dodici furono segnati dal sodalizio tra lo scienziato e il suo "meccanico" legame che continuò dopo la partenza del maestro pisano dimostrando l'altissimo livello tecnico raggiunto dal padovano.
Marcantonio proveniva da una famiglia di abilissimi artefici: nel 1550 lo zio Iseppo, maestro orologiaio e costruttore d'astrolabi, era convenuto a Venezia assieme al francese Leonardo Olivier e al vicentino Giorgio Capobianco, matematico e orologiaio del duca di Urbino e del sultano Solimano il Magnifico, per individuare le cause del malfunzionamento dell'orologio di piazza san Marco. La perizia del padovano fu tale che dall'anno successivo gli venne affidata la custodia, che tenne per vent'anni, dell'orologio.
Anche alcuni nipoti di Iseppo divennero abili costruttori d'orologi: Francesco divenne “custode et gubernatore” dell’orologio in piazza dei Signori di Padova mentre, Paolo, il padre di Marcantonio, divenne il regolatore dell'orologio della torre dello Studio del Bo dal 1569 al 1612.
Torre con orologio di Palazzo Bo vista dal Cortile antico. Foto: Massimo Pistore. Università di Padova © tutti i diritti riservati
Marcantonio seguì nel 1612 le orme del vecchio padre prendendo il suo posto alla torre del Bo; venendo giudicato "attissimo" a tale scopo, continuò a costruire strumenti scientifici. Il fratello Mario invece, dopo essersi addottorato nel 1588 in filosofia l'anno dopo in teologia, tenne la cattedra nello Studio di Padova di filosofia naturale per 36 anni.
Le prime notizie dell’orologio della torre del Bo risalgono al 1440 al tempo in cui l’edificio era ancora adibito a prestigioso albergo. Passato in uso allo Studio di Padova nel 1493, l'antico hospitium bovis venne trasformato dalla metà del Cinquecento con la costruzione del cortile a doppio loggiato e della porta trionfale d'accesso terminata alla fine degli anni ottanta di quel secolo. In questo torno d'anni si collocano anche i lavori che trasformarono la vecchia torre medievale che venne innalzata per due terzi. Nel 1572 risultava compiuta la "lanterna" ottagonale con cupolino coperto di piombo e venne riposizionato l'orologio quasi certamente sotto la guida di Paolo Mazzoleni.
Purtroppo qualche anno dopo, come testimonia il cronista Nicolò de Rossi:
“ In Padova havendo dato la saetta nella cupola della Torre di scolari, la rovinò tutta con la morte di tre artigiani
Il cupolino venne dunque restaurato e ornato da una banderuola girevole in rame con il leone alato marciano coronato da una sfera armillare in lamine di metallo e globi di rame. La sfera, costituita da un asse celeste, due globi, quattro paralleli, l'equatore, quattro cerchi meridiani e dalla fascia zodiacale, reca una data, 1581.
L'oggetto non era un semplice ornamento ma il simbolo stesso, tra le alte torri della città, del luogo della Scientia. Così, se in quella del Podestà già degli Anziani verrà posta nel 1610 la personificazione della Giustizia, in quella del Bo, seconda in altezza tra le torri civiche, svettava a 55 metri di altezza la sfera armillare.
Nell'incisione di Francesco Bertelli del cortile che raffigura l'interno del cortile, campeggia, al centro della scena, un angelo che tiene tra le dita delle mani una sfera armillare.
Questo strumento compare spesso nell’iconografia del Bo: nel cortile antico ritorna tra le metope del fregio; questi rilievi rappresentano sfere fissate ad un manico che poggiano su libri del tipo di quelle impiegate dai docenti per "illustrare" i libri che leggevano come, ad esempio, il de sphaera di Giovanni Sacrobosco (1195 ca.-1256) letto anche da Galileo.
La torre e i suoi coronamenti continuarono a identificare lo Studio finché il 17 agosto 1756 si scatenò in città un devastante fortunale che distrusse gran parte della copertura del palazzo della Ragione e che quasi fece crollare la torre.
Subito si cercò di ricorrere al massimo esperto di allora, Giovanni Poleni ma purtroppo era assente. Dai primi rilievi emersero segnali allarmanti: il muro orientale del campanile si era staccato, il "turbine" aveva inoltre spezzato con la sua forza una catena della torre. La situazione si aggravava tanto che il perito Brandolese avvertì che la fabbrica era “in moto”.
I primi provvedimenti parvero stabilizzare la struttura e per l’occasione vennero impiegate le catene del Palazzo della Ragione per irrobustire la torre. Ritornato a Padova il Poleni si adoperò per salvare la torre stendendo una perizia particolareggiata sulla stabilità del campanile ricostruendo le fasi storiche e tecniche e pronunciandosi infine sulla stabilità con l'ammonizione però di tenere sotto controllo il manufatto con regolari misurazioni.
Nel luglio del 1777 la sfera e il cupolino del campanile di piombo vennero colpiti da un fulmine. L’abate Giuseppe Toaldo (1719-1797), docente dal 1764 alla cattedra di Astronomia e meteore e considerato uno dei fondatori della meteorologia scientifica, nel giornale astro-metereologico scriveva che
“ ... con poco apparato di nuvole, e niente di pioggia, una saetta percosse la Torre dell'Università [...] pare entrata per la sfera e per i piombi, cominciò, subito sotto di questi a rompere un capitello di uno dei pilastri dell'ottagono.
Seguace delle teorie di Benjamin Franklin, Toaldo, nel 1773, fece istallare, primo nella Serenissima, un parafulmine alla Specola, quindi al campanile di San Marco nel 1776 e nel 1777 in quello della torre del Bo.
Altro primato scientifico della torre del Bo riguarda il computo del tempo. L’orologio fu il primo della Dominante a segnare l'ora alla francese ovvero nel modo in uso al giorno d'oggi. Fino ad allora il tempo veniva calcolato secondo l’ora italica composta di 24 intervalli costanti che iniziano ogni giorno dopo il tramonto. Dato che il tramonto varia durante l’anno ne deriva che lo stesso momento in una giornata variava al seguire delle stagioni. Per quanto ci sembri assurdo, questo sistema era pratico perché permetteva di calcolare facilmente le restanti ore di luce in una società legata alle stagioni. L’abate Toaldo che già aveva denunciato nel 1787 l’arretratezza di questo sistema, aveva avvertito che passare all'ora francese avrebbe creato moltissima confusione nel popolo ignorante e così fu. Quando il primo di novembre del 1788 venne cambiata l'ora l'abate Giuseppe Gennari annotava,
“ Questa mattina l’orologio del Bo, così volendo il procuratore Pesaro Riformatore, cominciò a battere le ore alla francese; il popolo ignorante ride!
Nel 1794, dopo le moltissime resistenze di prelati, nobili e cittadini, che continuavano a far battere le ore dei campanili secondo il vecchio sistema, ci fu un momentaneo ritorno all’ora italica ma il giorno 10 pratile (29 maggio) 1797 si decise definitivamente di riportare l’ora al sistema francese; i tempi ormai erano davvero cambiati e con la caduta della Serenissima non vi furono più tentativi di tornare al passato.
L'orologio dell'alta torre del Bo continuò ancora a lungo a scandire il tempo e le lezioni finché con Regio Decreto del 30 agosto 1914 ne venne ordinata la demolizione per due terzi riducendola come oggi appare.
A causa della costruzione della nuova ala dell'Università sull’attuale via Cesare Battisti, la stabilità del vecchio campanile venne irrimediabilmente compromessa.
La sfera intanto venne collocata nel museo dell'Università.
Torre di Palazzo Bo vista dalla Torre degli Anziani. Foto su concessione dell'Università degli Studi di Padova - Ufficio Gestione documentale (RFA 1: 51 part.)
Da subito emerse il desiderio di ricostruire la torre e i progetti per l’ampliamento del palazzo centrale ne contemplavano la ricostruzione; il bando prevedeva, che fosse insieme "Littoria" e in linea con la tradizione delle torri civiche italiane. La commissione giudicatrice del bando nel 1934 scelse, limitatamente alla torre, il progetto dell’architetto Virgilio Vallot.
La sfera intanto venne spostata e appesa, dove lo è tutt’ora, al soffitto della Sala delle lauree di Scienze mentre la banderuola di san Marco venne posta nella sala della nave.
La torre littoria del nuovo palazzo Bo di Vallot non venne realizzata ma per molti anni il vecchio campanile e la sua sfera armillare continuarono ad essere rappresentati dagli artisti com’era un tempo. Una sorta di permanenza della memoria dell’immaginario artistico di quei tempi: la vecchia torre comparve alla mostra campionaria della Fiera di Padova nel 1935, nell’affresco della sala di ritrovo degli studenti di Giorgio Perissinotto nel 1940 e ancora nei dipinti di Antonio Fasan della sala da pranzo.
Nel 1968 venne elaborato un progetto di ricostruzione della torre del Bo com'era e dov'era prevedendo di porre ancora una volta sulla sua sommità la sfera armillare ma il progetto non venne realizzato e della torre e la sua sfera, additata per secoli per il luogo della scienza, non resta che il ricordo.
-------------------------------------------------------------------------------
SPECIALE La scienza nascosta nei luoghi di Padova
- Il Liston
- Palazzo Bo
- Il teatro anatomico
- La Basilica di Palazzo Bo
- Le piazze del mercato e la scienza delle misure
- La Cappella degli Scrovegni
- L'orologio di Piazza dei Signori
- La Torre di Palazzo Bo
- La Specola
- Le mura
- L’Ospedale di San Francesco Grande
- La casa di Galileo
- L'Accademia galileiana
- L'Ospedale Giustinianeo
- L'Orto botanico
- Il Giardino della biodiversità
- La fisica di via Marzolo
- L'Orto agrario
- Palazzo della Ragione
- Il Seminario maggiore
- La passeggiata dei Nobel
- I Laboratori di Legnaro e la sezione padovana dell'Infn
- Palazzo Cavalli
- Esapolis. Il museo vivente degli insetti
- La spezieria dell'abbazia di Santa Giustina
- La Torre della ricerca
- La casa del Poleni e la scuola di chimica
- L'Accademia Delia
- Il Cisas, una base per lo spazio in città
- Il Consorzio Rfx e l'energia delle stelle
- La stazione idrobiologica di Chioggia
- Agripolis
- L'Osservatorio di Asiago