CULTURA

La scienza nascosta nei luoghi di Padova: i Laboratori di Legnaro e la sezione padovana dell'Infn

È il 27 novembre 1961 e a Legnaro viene inaugurato il Centro di ricerche nucleari della regione Veneto, dove un mese prima è entrato in funzione l’acceleratore elettrostatico Van de Graaff (CN). È la mente visionaria di Antonio Rostagni, successore di Bruno Rossi alla direzione dell’istituto di Fisica dell’università di Padova, a concepire il progetto che sfocerà qualche anno più tardi nell’istituzione ufficiale dei Laboratori nazionali di Legnaro dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare.   

Intorno agli anni Sessanta del Novecento, nell’ateneo padovano ci si dedica ormai da tempo alla fisica dei raggi cosmici. C’è interesse ad ampliare gli ambiti di indagine scientifica e ad avviare nuove ricerche nel campo della fisica nucleare, settore all’epoca ancora trascurato in Italia. Si chiede un finanziamento al Ministero della Pubblica Istruzione che nel 1959 concede all’ateneo una somma di 250 milioni di Lire per l’acquisto di un acceleratore. Fin da subito Rostagni ragiona con lucida lungimiranza. Installare il nuovo strumento nell’istituto di Fisica, avrebbe significato soffocarne le potenzialità e precluderne un possibile interesse sul piano nazionale. Invece, si vuole consentire a un numero elevato di scienziati provenienti da Padova, ma anche da altre sedi, di usufruire della struttura. Per questa ragione si sceglie Legnaro, una tenuta di circa 100 ettari di estensione, acquistata dall’università per avviare l’azienda sperimentale della facoltà di Agraria. E, oltre al terreno, l’ateneo mette a disposizione 130 milioni di Lire per gli edifici.

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Dopo aver mosso questi primi importanti passi, si riunisce un manipolo di tecnici e ricercatori dell’istituto di Fisica di Padova e si cerca di convincerli a dirottare le loro attività di ricerca verso Legnaro. Si fa rientrare il fisico Italo Filosofo dagli Stati Uniti per l’avvio delle operazioni al nuovo acceleratore. Si istituisce la cattedra di Fisica nucleare e si chiama a coprirla Claudio Villi, uno dei più fervidi sostenitori dello sviluppo della fisica nucleare in Italia, che sarà presidente dell’istituto Nazionale di Fisica nucleare dal 1970 al 1975. Si affida la direzione dei laboratori a Renato Angelo Ricci.

Già dopo il primo anno di vita, nel corso del quale ci si adopera anche per la costruzione di apparecchiature ausiliarie, il Centro di ricerche nucleari di Legnaro diventa polo di attrazione per studiosi delle università di Bologna, Napoli, Trieste, e del centro comunitario di Ispra che collaborano con gruppi di ricerca padovani. Qualche anno più tardi si rivolgono ai laboratori di Legnaro anche scienziati di Firenze e del Comitato nazionale per l'energia nucleare (Cnen). Lo svolgersi dei fatti dà ragione evidentemente alla visione iniziale di Rostagni, che studia con particolare cura il progetto per “un razionale e intenso sfruttamento in sede locale e nazionale”.

In quel momento in Italia è operativo l’Istituto nazionale di fisica nucleare, fondato nel 1951 da gruppi di scienziati delle università di Roma, Milano, Torino e Padova allo scopo di proseguire la tradizione scientifica iniziata negli anni Trenta con le ricerche teoriche e sperimentali di fisica nucleare di Enrico Fermi e della sua scuola, i ragazzi di via Panisperna. Nel 1968 il Centro di ricerche nucleari di Legnaro viene integrato nell’Istituto: è del 26 luglio la firma della convenzione tra università di Padova e Infn. Quello di Legnaro diventa uno dei quattro laboratori nazionali dell’Infn presenti nel nostro Paese, insieme a quello di Frascati (1955), ai laboratori nazionali del Sud (1976) e del Gran Sasso (operativi dal 1987).

Per circa un ventennio dalla loro inaugurazione, i laboratori di Legnaro si sviluppano intorno ad acceleratori di tipo elettrostatico. Dopo il Van de Graaff, nel 1971 viene acquistato l’AN 2000, interamente dedicato a studi di tipo interdisciplinare. Fin dagli inizi Rostagni, Villi e Ricci fanno in modo di estendere le attività anche al campo della fisica nucleare applicata. Vengono condotte così indagini nel settore della fisica della materia, della biomedicina, della fisica dell’ambiente. L’avvento dell’acceleratore Tandem nel 1982, il primo acceleratore di ioni pesanti in Italia detto “Moby Dick”, determina l’inizio di una nuova fase per Legnaro, che dà slancio alla fisica nucleare italiana sul panorama internazionale.

Lo sviluppo dei laboratori si consolida nel 1992 con l’entrata in funzione di un acceleratore lineare a cavità superconduttrici, Alpi, costruito interamente a Legnaro, che si accompagna all’evoluzione della strumentazione e di importanti apparati di rivelazione. Nel 2004 viene affiancato al Tandem l’iniettore superconduttivo Piave e nel 2016 i laboratori si arricchiscono del ciclotrone Spes (Selective Production of Exotic Species), di altissime prestazioni in energia e corrente per lo sviluppo di programmi di ricerca sia fondamentale che applicata.

Ogni anno si rivolgono ai laboratori di Legnaro 700 ricercatori, tecnologi e tecnici, per metà italiani e per metà stranieri. Nella struttura lavorano 250 persone, tra cui laureandi, dottorandi e borsisti. 

Altri 120 dipendenti e una sessantina di ricercatori e professori universitari associati operano invece nella sezione di Padova dell’Infn, ospitata nel dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei”. Parte delle attività sono svolte nei Laboratori nazionali di Legnaro e con il dipartimento esiste una prolifica collaborazione. Nella sezione padovana, alle prime ricerche sui raggi cosmici di cui fu pioniere Bruno Rossi, nel corso degli anni si aggiungono indagini nel campo della fisica particellare, astro-particellare, nucleare e degli sviluppi strumentali e tecnologici.

Negli anni non sono mancati contributi scientifici di rilievo internazionale. Per guardare al passato più recente, si pensi a quel 14 settembre 2015 in cui Gabriele Vedovato, fisico dell’Infn di Padova, dal suo laboratorio di Legnaro, e Marco Drago, laureato e addottorato a Padova, allora all’Albert Einstein Institute di Hannover, per primi si accorgono di un segnale generato dagli interferometri del progetto Ligo (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory) negli Stati Uniti: è un’onda gravitazionale, a distanza di 100 anni da una delle più importanti predizioni di Einstein destinata a ridisegnare il modo di concepire la forza di gravità e, di conseguenza, le forze che regolano l’universo. I dati prodotti dai due rivelatori vengono studiati congiuntamente con il gruppo Virgo, che vede coinvolti anche ricercatori  dell’Infn e delle università di Padova e Trento, e mostrano che le onde sono state prodotte dalla collisione e fusione di due buchi neri.

A Padova la ricerca delle onde gravitazionali ha una lunga tradizione. Il gruppo Virgo di Padova-Trento nasce dalla squadra che ha sviluppato e reso operativo, sotto il coordinamento di Massimo Cerdonio, il rivelatore Auriga di onde gravitazionali a barra risonante ancora in funzione dal 1997 nei Laboratori nazionali di Legnaro dell’Infn. Il gruppo Auriga ha contribuito a fondare la prima rete di rivelatori di onde gravitazionali Igec (1997-2005) con gruppi di ricerca a Roma, alla Louisiana State University e alla University of Western Australia, e ha svolto ricerche pioneristiche di onde gravitazionali usando tale rete di rivelatori. Nel 2011 sempre ricercatori del gruppo Auriga hanno proposto un rivelatore del tutto innovativo di onde gravitazionali, denominato Dual, a cui il gruppo, insieme a ricercatori dell’università e dell’Infn di Firenze, ha lavorato negli anni 2001-2008.

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