CULTURA

L'esploratrice solitaria che sfrecciava tra le Alpi

A bordo della sua Fiat 514 si arrampicava tra le vie impervie delle Alpi trentine, “purché – racconta lei stessa in Avventura al confine – ci fosse lo spazio sufficiente a posarvi le quattro ruote”. L’obiettivo era di perlustrare sistematicamente le vallate e i monti per studiarne la vegetazione. Potrebbe far sorridere lo sforzo sopportato da un’auto degli anni Trenta nell’aspro ambiente montano, ma ciò che contava per Silvia Zenari era la completezza e l’integrità della ricerca. Questa dedizione per il lavoro ha caratterizzato tutta la sua vita, fino alla tragica scomparsa in un incidente stradale. 

La botanica e la geologia furono le grandi passioni di Silvia, cui dedicò la sua intera carriera e diversi studi scientifici. L’interesse per le discipline naturalistiche iniziò molto probabilmente già durante l’infanzia, quando il padre Aristide Zenari, ingegnere visionario dell’industria idroelettrica, decise di trasferire la famiglia in un piccolo paesino in provincia di Pordenone, Montereale Valcellina, con l’obiettivo di “portare il progresso” nella vallata attraverso la costruzione di un impianto idroelettrico. Silvia, nata a Udine nel 1895 e secondogenita di sette figli, entrò da subito in contatto con l’ambiente montano, sviluppando il suo spirito d’avventura grazie alle numerose escursioni insieme al padre. Nel 1906 la famiglia si trasferì a Vittorio Veneto dove Zenari frequentò il ginnasio per poi completare gli studi superiori a Padova. 

Terminati gli studi liceali e incoraggiata dalla famiglia, si iscrisse alla Facoltà di Scienze dell’Università di Padova, laureandosi in scienze naturali nel giugno del 1918 con voti eccellenti. Discusse una tesi in geologia, avendo come relatore il professore Giorgio Dal Piaz, noto geologo che partecipò agli studi per la costruzione della diga del Vajont. Grazie alla sua conoscenza delle Alpi friulane e agli insegnamenti di Dal Piaz, Silvia fu in grado di elaborare personalmente, tra il 1920 e il 1926, il foglio Maniago della Carta geologica delle tre Venezie, uno strumento utile per conoscere la geologia del territorio e per poter progettare qualsiasi tipo di intervento. Il lavoro fu poi pubblicato nel 1927 e corredato, due anni dopo, dalle Note illustrative. Altre pubblicazioni importanti sull’argomento furono lo Studio geo-idrologico del bacino del Cellia del 1926 e il suo contributo nella Guida geologica del Friuli.

Anche se quest’ambito di studi restò sempre il preferito di Silvia Zenari, a partire dal 1918 divenne assistente presso l’Istituto di Botanica di Padova, collaborando con i professori Augusto Béguinot e Giuseppe Gola. Fecondo fu il suo rapporto con il primo, persona eclettica nonché straordinario viaggiatore e raccoglitore di piante dell’area del Nord Africa. Lo spirito d’esplorazione di Silvia non si spinse però molto distante: il suo interesse botanico e geologico si concentrò principalmente sulle Prealpi Carniche, sulla Valle del Piave (Cadore e Comelico) e sull’Alto Adige. Il suo primo lavoro botanico è datato 1920 e prende in esame la vegetazione della valle in cui lei era cresciuta: al Primo contributo alla flora della Val Cellina (Friuli Occidentale) seguirono un secondo volume e una versione aggiornata nel 1925. Si aggiunsero poi altri due interventi sulla vegetazione nelle zone risorgive e nell’area dei Magredi nella pianura friulana occidentale.

Verso gli anni Trenta cominciò a interessarsi soprattutto alle Alpi venete, in particolare al Cadore, al Comelico – cui dedicò nel 1941 un volume corposo relativo alla vegetazione – e all’Alto Adige. Negli stessi anni iniziò a insegnare storia naturale, mineralogia e geografia, prima all’Istituto tecnico di Rovigo e poi al Liceo scientifico Nievo di Padova. A quest’attività affiancò anche quella di bibliotecaria all’Accademia scientifica veneto-trentino-istriana di Padova per circa dieci anni. Tuttavia il sogno più grande di Silvia Zenari rimase sempre la cattedra universitaria, traguardo che non raggiunse mai, forse anche a causa della scarsa inclinazione degli ambienti accademici ad accogliere facilmente le donne.

Oltre all’attività di assistente, all’università ricoprì anche l’incarico esterno per l’insegnamento della botanica sistematica e la libera docenza in fitogeografia, tra il 1933 e il 1941. Qualche anno più tardi, nel 1952, ottenne comunque l’idoneità alla cattedra, con un concorso all’Università di Camerino. La sua intensa attività scientifica la portò anche a ricevere un riconoscimento da parte dell’Accademia dei Lincei: il premio per le Scienze naturali le fu consegnato nel 1948 e in quell’occasione venne sottolineata l’importanza delle sue “osservazioni critiche di morfologia e di sistematica di numerose specie della flora delle Alpi orientali”. 

La sua intensa attività scientifica la portò anche a ricevere un riconoscimento da parte dell’Accademia dei Lincei

Durante tutta la vita, a Silvia non venne mai meno la passione per la montagna e per le escursioni, che dedicava comunque alle attività di ricerca. Nelle varie lettere e testimonianze di corrispondenti e conoscenti, Zenari veniva descritta come una “camminatrice instancabile”, con uno spirito di scoperta tale da spingerla anche ad affrontare situazioni estreme come le arrampicate, che le erano utili per stabilire la distribuzione in altitudine della vegetazione alpina. Essendo una donna coraggiosa, il più delle volte intraprendeva queste escursioni da sola ma non disdegnava la compagnia, in particolare quella della sorella Ernesta con cui condivideva quella passione. Silvia Zenari raccontava le sue avventure nelle lettere alla sorella Marcella in cui esprimeva la sua preoccupazione come raccoglitrice, dato che: “Qui intorno stanno falciando dappertutto, e se non facciamo presto, non trovo più niente da inviare all’Orto Botanico”

Le montagne le furono anche d’ispirazione per scrivere delle novelle, di cui ci rimangono solo Scampagnate a Montereale, che narra l’incontro in Val Cellina tra Zaira Nivales (anagramma del nome dell’autrice) e un giovane sconosciuto; Avventura al confine del 1936, in cui racconta le difficoltà di ricerca sul campo per la fitta presenza di militari; e Temporale in alta montagna.

Di lei rimane un ritratto nell’Orto botanico di Padova, che il visitatore incontra passeggiando tra le stanze dell’erbario.

Sarebbe mai riuscita a ricoprire la tanto desiderata cattedra all’Università? Non è dato saperlo. Il destino ha voluto diversamente: di ritorno a Padova nel 1956, a bordo della sua Fiat, poco dopo Conegliano, in provincia di Treviso, un incidente durante un sorpasso le costò la vita. Aveva 61 anni. 

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