Immagine giovanile di Anna Kuliscioff. Fondazione Anna Kuliscioff
La migliore mente del socialismo italiano è quella di una donna: Anna Moiseevna Rozenštejn, giornalista, politica e medico, meglio conosciuta come Anna Kuliscioff. È lei stessa a scegliersi il nome, secondo un uso comune a molti rivoluzionari: Kulišëva, da un appellativo che in russo è riservato a facchini, manovali, servi della gleba. La povera gente che amerà sempre. E non lo cambierà più, dato che dopo il breve matrimonio giovanile con l’anarchico bakuniano Pëtr Makarevič non si risposerà.
Spirito curioso, fiero e indipendente, Anna nasce in Crimea nel 1857 (oppure, secondo altre fonti, nel 1853 o nel 1854) da una famiglia della ricca borghesia ebraica. Poco più che adolescente si trasferisce in Svizzera per intraprendere gli studi universitari in ambito scientifico, all’epoca preclusi alle donne nell’Impero zarista. E si mette subito in luce: brillante, bellissima, i cappellini e i modi raffinati – anche quando è in prigione, o in fuga per l’Europa – Anna assomiglia a un ritratto di Manet, o meglio ancora a un’eroina della letteratura russa. “Mi parve una vergine slava – così la ricorderà lo scrittore Paolo Valera –. Con una testa da Madonna, con la carnagione bianca imporporata di salute, con le trecce lunghe, di un biondo luminoso, per le spalle, mi faceva pensare alle donne graziose dei Preraffaelliti”.
Anna però non punterà mai sull’avvenenza: a Berna si dedica con foga agli studi e allo stesso tempo sviluppa la passione per la politica. Dopo un temporaneo ritorno in patria, dove partecipa al movimento “Andare verso il popolo”, è costretta dalla polizia zarista a tornare in Svizzera, dove conosce l’anarchico imolese Andrea Costa. È subito amore: una passione bruciante in cui politica e attrazione si fondono. Dalla loro unione nascerà l’unica figlia Andreina.
“ Brillante, bellissima e raffinata, anche quando è in prigione o in fuga per l’Europa Anna assomiglia a un ritratto di Manet
Ed è proprio tramite Costa che Anna si avvicina all’Italia, in un rapporto che da subito è di amore contrastato. E che inizia con oltre un anno di carcere, tra il 1878 e il 1879 a Firenze, dove viene accusata di attività sovversiva. Qui assieme ai dolori artritici contrae la tubercolosi, che la accompagnerà tutta la vita.
Tornata in Svizzera, nel 1882 passa alla Facoltà di Medicina: in quel momento infatti la professione medica le sembra il modo di unire la passione sociale alle aspirazioni di indipendenza economica. Una libertà interiore e una fierezza che nuocerà al rapporto con Costa, che non riesce a reprimere la sua gelosia e per questo vorrebbe impedirle ogni attività politica.
Anche nella speranza che il clima giovi alla salute malferma, si sposta in Italia, all’Università di Napoli, dove vive assieme alla figlia Andreina in piccole e squallide stanze ammobiliate. Anche qui lavora in maniera folle e durissima, discriminata da un ambiente accademico intriso di burocrazia e di maschilismo, minacciata dal colera e dal tifo. Ma non molla. E decide di iniziare a occuparsi soprattutto della salute delle donne e dei bambini, scegliendo di discutere una tesi sulla patogenesi della febbre puerperale, “la cui spiegazione – scrive in una lettera – non è meno confusa di quella del colera”.
Anna Kuliscioff e Filippo Turati a Firenze nel 1986. Fondazione Anna Kuliscioff
Vorrebbe sostenere l’esame di laurea a Pavia, più vicina a quello che sta diventando il centro della sua vita e dei suoi interessi, ma ancora una volta è il mondo accademico locale a chiudersi a riccio, soprattutto su spinta del rettore Corradi, che arriva a chiedere informazioni sul suo conto al prefetto. A Napoli diventa così la prima donna a completare gli studi universitari in medicina, e i risultati del suo lavoro vengono citati nella Gazzetta degli ospitali e presentati in una relazione dal futuro premio Nobel Camillo Golgi, che non nasconde la sua stima per lei e la accoglie nel suo laboratorio a Pavia, uno degli istituti all’avanguardia in Europa. L’intelligenza di Anna è infatti apprezzata dalle più brillanti menti scientifiche dell’epoca: frequenta anche la casa torinese di Cesare Lombroso, che per lei è disposto a fare un’eccezione alle sue teorie, che vedono le donne intellettivamente inferiori agli uomini.
Ci sarebbero insomma gli elementi per una brillante carriera accademica. E così subito dopo la laurea, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1887, Anna Kuliscioff arriva a Padova con l’obiettivo di specializzarsi in ginecologia. Lei – donna, straniera, madre single, politicamente radicale ed ebrea – da vera apripista qual è adesso vuole anche diventare ricercatrice e docente. A chiamarla nella città del Santo è Achille De Giovanni, medico luminare e vecchio mazziniano, direttore della clinica ospedaliera e preside della facoltà di medicina; il ruolo che le è assegnato è quello di “assistente onorario” (ovvero non pagato), e come tale è indicata nell’annuario della facoltà. L’obiettivo è di “lasciare Milano per due-tre anni”, scrive in una lettera a un’amica, per proseguire gli studi e ottenere la libera docenza. Diversamente, “con tutti i pregiudizi sulle donne-medico, non c’è spazio”.
Anna prende casa al numero 3.680 di via delle Zitelle, l’attuale via Ospedale civile, e si butta con la consueta energia nel nuovo progetto, mettendo alla prova la salute malferma con turni estenuanti in clinica e in laboratorio. Secondo Francesca Zazzara, autrice del libro Anna Kuliscioff: donna, rivoluzionaria, medico, a Padova Anna sembra trovare la sua dimensione. Si profilerebbe l’agognata carriera accademica: non ci sono più ostilità e l’ambiente pare finalmente favorevole.
“ Donna, straniera, ebrea: non può votare né essere eletta ma è tra i fondatori del più antico partito italiano
Eppure ancora una volta il suo spirito inquieto non trova pace. Nel frattempo è infatti terminata la relazione con Costa ed è iniziata quella con il leader socialista Filippo Turati, che oltre che ad amarla la rispetta e la stima anche dal punto di vista politico e intellettuale. Soprattutto però è l’attività politica a mancarle, il confronto con i compagni, l’impegno concreto per i lavoratori e gli oppressi. Così, probabilmente nella primavera del 1888, Kuliscioff mette definitivamente da parte il progetto di specializzarsi e si trasferisce a Milano, e stavolta si tratta di una scelta definitiva.
Almeno in un primo momento non tralascia la professione medica: diventa così “la dottora dei poveri”, recandosi ogni giorno nelle case popolari di Milano per visitare le famiglie più misere, dove soprattutto dalle donne la sua visita è attesa “come una benedizione”. “Anna pratica a Milano una medicina sociale o socialismo medico, o ancora marxismo applicato alla medicina”, continua Zazzara. “È medico al servizio della collettività e degli ultimi, che vivono in condizioni precarie ‒ carenziali, alimentari, abitative, lavorative ‒ che li hanno fatti o fanno ammalare”. Anche qui tuttavia prova l’ennesima umiliazione, vedendosi rifiutare la possibilità di fare pratica all’Ospedale Maggiore.
In seguito i problemi di salute la costringeranno a concentrarsi soprattutto sul giornalismo. Dirige assieme a Turati, dalla loro casa in Piazza Duomo trasformata in redazione, la rivista Critica sociale; come donna e straniera non può votare né essere eletta, ciò nonostante diventa protagonista assoluta della storia italiana: a Genova il 15 agosto 1892 con il compagno è tra i fondatori del Partito dei Lavoratori italiani, che dal 1895 assume il nome definitivo di Partito socialista italiano.
Immagine matura di Anna Kuliscioff, forse del 1924. Fondazione Anna Kuliscioff
Qui si batte per il voto femminile e i diritti di donne e bambini, e nonostante la perplessità di una parte dei compagni di partito e dello stesso neonato movimento femminile. Celebre a questo riguardo l’aspra polemica condotta sulle pagine dell’Avanti! con Anna Maria Mozzoni, decana del femminismo italiano, secondo la quale un’eccessiva tutela del lavoro femminile finirebbe proprio per discriminare le donne e per promuoverne i ruoli tradizionali nella famiglia e nella società. Alla fine a spuntarla è Anna, il cui contributo si rivela fondamentale per l’approvazione nel 1902 della cosiddetta Legge Carcano, che tra le altre cose porta a 12 anni l’età minima per l’ammissione al lavoro dei fanciulli e per la prima volta introduce un congedo di maternità di quattro settimane dopo il parto. Difficile pensare che la sua esperienza di medico non le sia d’aiuto, mentre elabora i tratti fondamentali della nuova normativa.
Fino alla fine Anna Kuliscioff continua a occuparsi di politica, attraversando 40 anni di vita pubblica italiana: a volte in accordo, altre in contrasto con il compagno, che spesso rimprovera di essere troppo moderato e attendista. Non mancano le amarezze, come la scissione dei comunisti a Livorno nel 1921, l’avvento del fascismo e il barbaro assassinio di Giacomo Matteotti, uno dei “suoi” giovani. Madre nobile del socialismo, grande signora della politica italiana, non si risparmia fino alla morte, avvenuta il 29 dicembre 1925. Il suo funerale è l’occasione di una delle ultime manifestazioni pubbliche socialiste, e non mancano le provocazioni e l’estremo oltraggio di una squadraccia fascista. Eppure persino Mussolini, già direttore dell’Avanti!, ha sempre ammirato la sua forza e la sua intelligenza. “Signora Anna, signora Anna, fate che siamo degni di Voi – scandisce il parlamentare socialista Enrico Gonzales durante la cerimonia funebre. Dateci la forza di continuare!”.
Oggi, a quasi un secolo di distanza, le donne sopravanzano gli uomini in molti ambiti, anche per merito di figure come quella di Anna Kuliscioff. Se oggi politica e medicina sono sempre più donna, un po’ lo dobbiamo anche a lei.
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