CULTURA

Quegli speciali ritratti specchio del fasto veneto

Chiara Varotari, figlia del pittore e architetto Dario Varotari il Vecchio e di Samaritana Ponchino (il cui padre era l’artista Giovanni Battista Ponchino), nasce a Padova nel 1584 nella parrocchia degli Eremitani. È la sorella maggiore di Jacopo, Paola e Alessandro, conosciuto come il Padovanino, seguace di Tiziano.

Chiara apprende l’arte prima dal padre e poi dal fratello, lavorando come assistente nella bottega di famiglia inizialmente a Padova, e poi anche a Venezia. Nella società del tempo, infatti, la formazione delle artiste avviene per apprendistato presso il laboratorio di famiglia, ed è proprio grazie a questo percorso che Chiara Varotari si afferma come una delle poche pittrici dell’epoca.

Come per la maggior parte degli allievi – dei quali nessun dipinto porta la firma –, in queste botteghe il riconoscimento del ruolo femminile è marginale. Tuttavia in Veneto, con la presenza di tanti laboratori a gestione familiare, le donne impegnate nell’arte trovavano qualche spazio. La carriera artistica della giovane inizia dopo la morte di Dario, nel 1596, quando Chiara ha 12 anni, troppo pochi per saper già maneggiare con perizia l’arte della pittura, ma già abbastanza per essere avviata sulla giusta strada. Da questo momento in poi e fino al 1614, quando con il fratello Alessandro si trasferisce a Venezia, è attiva nella bottega paterna. Sarà poi proprio a Venezia che, insieme al fratello, inizierà a farsi conoscere, e mentre Alessandro si fa notare per le pale e le “istorie”, Chiara invece si specializza nei ritratti. Qui i due Varotari fondano una scuola di pittura subito riconosciuta dagli artisti del tempo.

Nella città lagunare, dove Chiara trova un ambiente culturale vivace e aperto, secondo quanto riferito da Marco Boschini nel suo poema La Carta del navigar pittoresco, l’artista potrebbe aver a sua volta fondato una scuola pittorica per sole donne, sull’esempio di quanto fatto da Elisabetta Sirani a Bologna: “Una scuola, donde sono uscite una Caterina Taraboti ed una Lucia Scaligeri (sue allieve), che si mostrarono al par di essa valenti nel dipingere il ritratto”.

Se infatti nel Cinquecento all’interno delle botteghe artistiche la donna è ancora relegata a mansioni subordinate, nel XVII secolo il clima sociale lentamente muta. Negli ambienti di cultura padovani si comincia a percepire un’iniziale apertura nei confronti del genere femminile, frutto del dibattito sull’uguaglianza e sulla condizione della donna che nella vicina Venezia, in anticipo sul resto dell’Europa, si fa sempre più acceso.

È proprio in questo periodo che alcune intellettuali vengono accolte per la prima volta nell’Accademia dei Ricovrati, uno degli organi più importanti della vita politica e culturale padovana. Un’evoluzione, questa, che non riguarda però il contesto artistico.

Nel Seicento, infatti, a Padova le pittrici erano poche, e a queste è difficile attribuire opere specifiche. A pochi chilometri dalla città del Santo invece, a Venezia, la situazione è diversa e Chiara Varotari, la cui vita è dedicata esclusivamente alla pittura e alle cure del fratello, ne è la testimonianza.

Chiara non si sposa: nonostante infatti si faccia sempre più acceso il dibattito sulla natura delle donne e sulle loro possibilità, la castità e il nubilato sono ancora considerate condizioni imprescindibili per l’esercizio delle arti. L’esempio offerto da Varotari e dalle sue allieve veneziane Caterina Tarabotti e Lucia Scaligeri, però, rinfocola le posizioni a favore di un maggiore riconoscimento del loro operato: Giustiniano Martinioni ne evidenzia le abilità, che considera pari a quelle dei pittori coevi presenti in città, e così sono descritte nella Venetia città nobilissima, et singolare di Francesco Sansovino del 1663: “Pittrici, quali non ciedono, né maneggi de’ pennelli, ad essi pittori”.

A lei sono attribuiti soltanto ritratti, e la ragione probabilmente risiede nel fatto che in quel periodo alle donne è consentito esprimersi ancora e solo attraverso generi minori quali, appunto, la rappresentazione della figura umana o del paesaggio.

Chiara Varotari, secondo le consuetudini del tempo, si era specializzata dunque nel ritratto e in particolare in quello femminile. Le sue opere si caratterizzano per la cura dei dettagli e, secondo lo stile dell’epoca, per l’attenzione agli aspetti psicologici delle persone raffigurate. Di lei si scrive nel Dizionario delle date, dei fatti, dei luoghi ed uomini storici che “era celebrata […] come abilissima pittrice di ritratti. Quello che ha fatto di se stessa piacque tanto ai granduchi di Toscana che l’ammisero [tra quelli] che compongono il gabinetto dei pittori celebri, nella galleria di Firenze”.

Varotari con il suo stile preciso e minuzioso, restituisce sulla tela l’immagine di una borghesia ricca, quella padovana e veneziana, che si celebra nella propria magnificenza e nel raggiunto prestigio sociale, e al contempo di una nobiltà che difende con orgoglio i propri privilegi. Nei suoi raffinati ritratti Chiara presta particolare cura alla resa precisa dei dettagli, dai tessuti ai gioielli fino alle acconciature. Nella società del Seicento la vita mondana riveste infatti grande importanza: molte di queste occasioni sociali introducono le donne alla vita pubblica e le rappresentazioni di Varotari testimoniano con precisione l’immagine dello sfarzo e dell’eleganza che caratterizzano le padovane in questi contesti.

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