CULTURA

L'idea dell'istruzione come mezzo per emanciparsi

È il 1873, una giovane donna di 29 anni si appresta a sostenere l’esame per il diploma di maestra di pedagogia nell’ateneo di Padova. Il 16 novembre lo scritto, superato con 30 punti su 30, il giorno seguente l’orale, con 29 punti in pedagogia, 30 in letteratura italiana, in geografia e storia. Quindi la commissione, formata da Francesco Bonatelli, Pietro Canal e Giuseppe Leva, con 119 punti su 120, la dichiara idonea all’insegnamento, non prima di aver prontamente modificato le diciture del verbale volgendole al femminile. Così, con quel tratto incerto di chi cambia qualcosa di ufficiale, “il sig.” diventa “la sig.a”, e “ammesso” guadagna una piccola ciglia per trasformarsi in “ammessa”, e così via. Non c’è alternativa, non esiste un modulo per abilitare le ragazze, e in precedenza non ce n’era stato bisogno. Lei è Rosa Piazza ed è la prima donna a ottenere il patentino per l’insegnamento della pedagogia nelle scuole normali e magistrali del Veneto, due percorsi che preparavano i futuri maestri e maestre. Un traguardo importante, dunque, sebbene della sua vita si sappia molto poco.

Nata a Venezia da Francesco Piazza nel 1844, vive in pieno periodo risorgimentale: nel 1849 termina la Prima guerra d’Indipendenza e la piccola Rosa assiste a giorni cupi per la Serenissima, che cade sotto l’assedio del maresciallo Radetzky: “Il morbo infuria / il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca”, scriveva Arnaldo Fusinato in celebri versi passati alla storia. Poi, nel 1866, Venezia e il Veneto vengono annesse al Regno d’Italia. Rosa è ormai una giovane donna, colta, informata e impegnata, che si divide tra Venezia e Padova, dove è in contatto con quelli che oggi verrebbero definiti circoli “progressisti”. È perfettamente in linea con le idee dell’epoca: in molti lottano per ottenere riforme sociali e lei stessa coltiva rapporti con una fitta rete di personalità, venete ma non solo, che scrivono, informano, e si espongono per l’innovazione sociale, dato che l’Italia, da poco unita, ha non pochi nodi ancora da sciogliere.

A Padova collabora alla redazione del giornale La donna, fondato nel 1868 dall’amica e collega Gualberta Beccari, a Venezia scrive ne L’educazione moderna, organo ufficiale della società promotrice dei giardini infantili in Italia, fondato da Adolfo Pick nel 1869. Per la diffusione del metodo educativo concepito da Friedrich Froebel tiene molti incontri, ed è proprio nella sua veste di applaudita conferenziera che viene ricordata: pare avesse, infatti, l’abilità di catalizzare l’attenzione di chi l’ascoltava.

Nel 1870 è a Padova e dà alle stampe Della educazione ed istruzione della donna italiana. Pensieri di Rosa Piazza, un libricino in cui raccoglie e approfondisce alcuni articoli già pubblicati su La donna. In nove capitoli Piazza esprime il suo punto di vista su altrettanti argomenti, discutendo di educazione femminile, religione, buone letture, conversazioni, lusso, istruzione della donna, studio della lingua, storia e geografia e, infine, scienze naturali. In queste pagine le opinioni personali si contrappongono e si scontrano con i costumi dell’epoca, con le idee vecchie e con quelle nuove, lasciando velatamente trasparire anche riferimenti alla sua vita privata. Stando alle sue stesse parole, Rosa era cresciuta nei conventi, dove vigeva “la più ferrea delle pressioni, la pressione morale, abituata a non aprire l’animo suo né alla madre indulgente, né alla maestra affettuosa, ma a nascondere anzi con ogni cura gli impulsi, gli affetti, fino ai desideri più innocenti”. Di quel periodo della sua vita parlerà ancora, ricordando come le “persone che vivono lungi dalla società, non possono farne dei buoni membri. Delle monache potranno formare delle monache, non mai delle madri”. Molte di queste all’epoca pensavano infatti che la migliore educazione fosse quella impartita nei conventi, ma Rosa non indugia: “Volete dei buoni cittadini istruiti, operosi, morali e ne domanderete le madri a dei luoghi sulla cui porta sta scritto guerra eterna al progresso?”. Nonostante ciò, non rinnegherà mai il ruolo della religione, che ritiene importante per instillare nel cuore della donna amore, onestà e uguaglianza. Però non ha dubbi: è l’educazione che illumina la civiltà. Tra le pagine di quest’opuscolo trovano ampio spazio le sue idee e i suoi valori, che sosterrà con costanza durante tutta la sua vita, ed emerge con forza l’impegno per la tutela dell’infanzia e l’emancipazione della donna.

Su quest’ultimo aspetto, in particolare, Piazza torna a più riprese, soffermandosi sulla questione a lei più cara, ovvero l’istruzione. Sebbene alcune sue idee siano all’avanguardia per quei tempi, rimane sempre indifferente, se non contraria, all’estensione del voto alle donne, nonostante ne difenda apertamente il diritto a ricevere un’educazione. Scrive Rosa in proposito: “La società ha bisogno che la donna sia istruita, perché ella da questa istruzione ricava immensi vantaggi. Sulle ginocchia della donna si formano le novelle generazioni”.

Intervista alla professoressa Patrizia Zamperlin

Secondo Piazza, dunque, educatori ed educatrici assumono un ruolo di primo piano: “La maestra deve essere la seconda madre, affettuosa ma non cieca, indulgente ma non appassionata, la madre modello”. Allo stesso modo, ritiene che la scuola e i collegi possano essere assimilati alla famiglia, riferendosi in particolare agli aspetti positivi che questa veicola. Il suo legame con Padova è forte. Nel 1871 – anno in cui viene pubblicato in Italia il Manuale pratico dei giardini d’infanzia di Friedrich Froebel – Rosa Piazza presenta in città, nella sala della Società d’incoraggiamento, il nuovo sistema educativo concepito dal pedagogista tedesco. Il primo giardino froebeliano a Padova viene fondato nel 1874 da Stefania Omboni, che Rosa sostiene in vario modo, soprattutto perché ormai aveva raggiunto una certa autorevolezza. L’anno prima Piazza aveva ottenuto l’abilitazione all’insegnamento della pedagogia nelle scuole normali, peraltro non senza fatica. Aveva chiesto, infatti, di essere ammessa all’esame senza frequentare il “biennio di studi universitari a ciò necessario” e la richiesta le era stata approvata: a sostegno della domanda Rosa aveva unito il nulla-osta del ministro dell’Istruzione Rezasco che indicava “di darle favorevole risposta”.

Nel corso della sua lunga carriera, interamente consacrata all’educazione, Piazza ricopre anche posizioni di prestigio: prima direttrice della Scuola magistrale femminile di Padova, e poi, di ritorno a Venezia, per 25 anni della Scuola superiore femminile “G. B. Giustinian”. Insieme a Guglielmo Stella, direttore della Scuola veneta d’Arte applicata alle industrie di Venezia, stende un progetto per la formazione di un istituto professionale femminile, poi effettivamente avviato nel 1891 con il nome di Scuola professionale femminile “Vendramin Corner”. Intanto continua la sua attività di scrittrice e divulgatrice, traduce dal francese Lettere d’un contadino d’Alsazia a un senatore sopra l’istruzione obbligatoria di Jean Macé, in cui si discute l’innalzamento dell’obbligo scolastico, in quel periodo fissato a 9 anni dal ministro dell’Istruzione Coppino. Nel 1914, quando Rosa Piazza muore nel trevigiano, a Cornuda, si sta valutando la possibilità di innalzare l’obbligo a 12 anni, mentre le scuole elementari erano da poco passate sotto la giurisdizione dello Stato. Spetterà a Maria Pezzè Pascolato, una delle sue “figliuole” come lei stessa chiamava le sue allieve, commemorare la sua “venerata maestra, guida preziosa, amica maternamente indulgente”, e portarne avanti gli ideali.

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