C’è un fatto di cronaca nera che aleggia in molti dei luoghi abitualmente frequentati da chi passeggia per Padova, da Piazza dei Signori all’ex cinema Concordi, da Palazzo della Ragione alla Basilica di Sant’Antonio. È l’omicidio della “dama azzurra”, Lucrezia Dondi dall’Orologio.
Su di lei si possiedono scarne notizie e spesso il suo ricordo viene offuscato da quello del marito, dal peso della famiglia cui apparteneva e dalla tragica fine che le toccò in sorte: il suo omicidio a seguito di un tentativo di violenza. Quello che conosciamo, però, è un racconto a tratti leggendario: ancora oggi si narra di Lucrezia nelle vesti di un fantasma che vaga tra le stanze del Castello del Catajo e che lo stesso figlio Ferdinando avrebbe visto nei pressi di una pietra insanguinata presa dal luogo dell’omicidio e portata lì, dove ancora si trova. Le vicende della giovane di casa Dondi dall’Orologio vanno in realtà ben oltre gli aneddoti che restituisce la tradizione e introducono un tema di estrema attualità, come la violenza di genere.
Nata all’inizio del Seicento da Laura Cumano e Bartolomeo Dondi, Lucrezia apparteneva a quella famiglia celebre per aver ideato l’orologio astronomico-astrologico di Piazza dei Signori a Padova. Rimase presto orfana di padre e fu educata dalla madre, per poi sposare il marchese Pio Enea II degli Obizzi a diciannove anni, il 21 gennaio 1629. Da quest’unione nacquero i tre figli Ippolita, Roberto e Ferdinando che vissero insieme ai genitori tra Padova, nel “Palazzo degli Obizzi” in via San Martino e Solferino 91, Ferrara e il Castello del Catajo, la reggia che sorge vicino a Battaglia Terme, sui colli euganei.
Di Lucrezia non si conosce molto. Sappiamo che a Padova godeva di grande stima e che a palazzo, dove viveva insieme alla famiglia, non mancavano mai le feste e i balli. Pio Enea si dilettava anche di poesia e teatro, tant’è che fece costruire uno spazio dedicato agli spettacoli proprio vicino alla residenza padovana, dove poi sarebbe stato edificato l’ex cinema Concordi. Il marchese ebbe quest’idea probabilmente per ospitare le esibizioni di Armellina, un’attrice che aveva attirato le sue attenzioni: stando ai ritrovamenti del 2010, pare addirittura che esistesse un passaggio segreto che avrebbe consentito all’uomo di accedere con facilità dal palazzo al teatro.
Diversamente dal marito, la tradizione dipinge Lucrezia come una donna poco interessata alla vita mondana e dedita alle opere di carità, come una moglie che vive all’ombra del consorte, che osserva e subisce in silenzio. Ma si tratta in realtà, come per molte altre biografie femminili, di un’immagine stereotipata che non fa emergere la complessità – sociale, economica, psicologica – della sfera familiare di donne e uomini di quell’epoca.
Una complessità che poteva portare a disuguaglianze, relazioni asimmetriche tra i generi, fino alla violenza tra le mura domestiche.
La fama di Lucrezia ruota soprattutto intorno alle tragiche circostanze della sua morte: il 15 novembre 1654 la donna fu trovata assassinata nel suo palazzo, la gola tagliata dalla lama di un rasoio. “Un homicidio esacrabile, un’empietà insanguinata, una crudeltà ferina”, la definì lo scrittore Luigi Manzini. Fu da subito evidente che Lucrezia aveva subito anche un tentativo di violenza, dal quale aveva cercato di difendersi prima di morire. Inizialmente, parlandone con Manzini e con l’amico Attilio Pavanello, Pio Enea collegò l’omicidio a una vendetta nei suoi confronti da parte di alcuni nobili padovani.
Ben presto, però, i sospetti caddero proprio sull’amico Attilio, così vicino alla famiglia, che avrebbe tentato di approfittare della moglie e l’avrebbe uccisa dopo essere stato da lei rifiutato. Pavanello negò sempre le accuse, ma Pio Enea era convinto della sua colpevolezza e con lui anche il figlio Ferdinando, che di suo pugno uccise Attilio nel 1662.
Lucrezia fu sepolta nella Basilica di Sant’Antonio e a Padova le fu dedicato un monumento: un busto in pietra d’Istria che si trova a Palazzo della Ragione. La triste vicenda scosse la città di Padova e il Paese intero, sia per la fama degli Obizzi, che per le circostanze in cui Lucrezia trovò la morte. Ne sono testimonianza, ad esempio, i numerosi componimenti poetici che Pio Enea ricevette da tutta Italia per celebrare la memoria della sua sposa.
Ma la triste vicenda oggi ha molto di più da raccontarci. Come esempio di femminicidio e di violenza maschile contro le donne, la storia di Lucrezia Dondi dall’Orologio rientra in quel materiale oggetto di studio delle recenti ricerche nel campo della storia di genere che – partendo dall’analisi della complessità spesso offuscata dagli aneddoti tramandati nel tempo – può contribuire alla lettura e analisi di casi contemporanei di violenza maschile contro le donne.
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