Particolare della copertina della prima edizione di "Croce e delizia" di Milli Dandolo (Milano 1944)
Passioni amorose, vocazioni artistiche, intrecci familiari, slanci patriottici. Al centro il bel canto italiano, l’opera lirica, quella commistione di musica e parole che conquistò la società italiana del XIX secolo. È Croce e delizia, romanzo di quasi mille pagine, edito nel 1944 e definito da alcuni il Via col vento italiano.
“Attraversare la prosa di Milli Dandolo – scrive Antonia Arslan nella prefazione alla ristampa del 2010 – sembra al lettore come intraprendere un grande viaggio romantico, e gli dà quasi l’impressione di accarezzare un broccato, una seta marezzata: ma sotto questa seta, che è poi appunto l’atmosfera musicale che tutto pervade, si agitano, come ammorbidite e distese dalla stoffa che serve da intercapedine, le passioni e le emozioni, il tumulto delle voci del cuore, gli slanci patriottici di amor patrio e gli abbandoni della sensualità più accesa”.
Molti furono i romanzi che uscirono dalla penna di questa prolifica scrittrice. Anche dei registi si ispirarono alle sue opere: sono del 1941 i film dal titolo È caduta una donna e La fuggitiva diretti rispettivamente da Alfredo Guarini e Piero Ballerini. A indirizzare Milli Dandolo (all'anagrafe Emilia) dalla poesia verso la prosa fu Giuseppe Fanciulli, pedagogista, scrittore e direttore del Giornalino della domenica dal 1920 al 1924, intravedendone le “doti straordinarie di narratrice”. Amico ed estimatore della giovane, la considerava una donna genuina, “semplice nel tratto, nella parola, nelle abitudini, tra le quali scherzosamente ostentava quelle di massaia […]. Semplice di gusti; appassionata per la musica e sopra a tutto per il suo lavoro”.
Figlia di Alessandro Dandolo ed Elvira Janna, entrambi di origine veneta, Milli si era interessata fin da giovanissima alla scrittura. Nata a Milano nel 1895, trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Castelfranco Veneto, nel cui ospedale il padre lavorava come primario chirurgo. Non frequentò un corso regolare di studi, ma ciò non le impedì di seguire privatamente a Padova le lezioni del grammatico e critico letterario Ciro Tribalza. Amava leggere la narrativa russa ottocentesca, Virginia Woolf e le opere della scrittrice neozelandese Katherine Mansfield.
Già a partire dal 1909, quando aveva solo 14 anni, cominciò a collaborare con il Passerotto, il supplemento del Giornalino della domenica, all’epoca diretto da Luigi Bertelli. Componeva liriche che indirizzava al direttore, accompagnate da lunghe lettere. Quei suoi primi versi furono pubblicati qualche anno più tardi, nel 1913, dai Fratelli Treves con il titolo Poesie. Secondo la studiosa Cinzia Agrizzi, nei componimenti giovanili già s’intravedevano gli argomenti cari alla scrittrice, che avrebbe poi sviluppato nella narrativa per ragazzi e per adulti: dal tema del ricordo al legame con l’infanzia di matrice pascoliana, dall’irruzione del fantastico e del fiabesco nel quotidiano alla dimensione spirituale e religiosa.
“ Attraversare la prosa di Milli Dandolo sembra al lettore come intraprendere un grande viaggio romantico Antonia Arslan
Quando scoppiò la guerra la giovane si rifugiò a Firenze con la famiglia, per poi far ritorno nella casa di campagna a Borgoricco, in provincia di Padova. Nel 1919, a guerra conclusa, rientrò definitivamente nella Milano che le aveva dato i natali e lì avrebbe trascorso il resto della sua vita, salvo brevi parentesi veneziane. Nel 1921, su proposta di Fanciulli, iniziò a lavorare come redattrice nel Giornalino della domenica e, attraverso l’amico, conobbe il critico musicale Eugenio Gara che sarebbe diventato suo marito e da cui avrebbe avuto il figlio Giuliano. Quello stesso anno usciva a puntate Nino sogna, un romanzo che apparteneva all’ampia produzione letteraria, in versi e in prosa, che Milli dedicò ai ragazzi. Non era infrequente infatti, tra il Risorgimento e l’epoca fascista, trovare scrittrici che si impegnavano anche nella narrativa per ragazzi, componendo poesie, novelle o romanzi per i più piccoli. La scelta rispondeva, oltre che a interessi personali, anche a ragioni di ordine economico, dato che alla fine dell’Ottocento l’editoria per ragazzi era un settore remunerativo su cui si concentravano molte case editrici. Secondo Arslan in Dame, galline e regine, i due ambiti di lavoro che vedevano impegnate molte narratrici è una “convalida del rapporto tra fiaba e rosa”, come nel caso di Milli Dandolo.
Nel tempo, dunque, la giovane divenne abile scrittrice di favole, racconti brevi e romanzi per i più giovani, alcuni dei quali furono raccolti in volumi. A Torino nel 1923 e nel 1933 andarono in stampa rispettivamente Piccole storie di grandi cose e Storie meravigliose del cielo e della terra, a Brescia nel 1934 Il cuore che germoglia. Ma i titoli sono molti di più. A questa attività affiancava quella di traduzione di opere straniere, come Peter Pan di James M. Barrie, L’amico dei fanciulli di Arnaud Berquin e Lettere dal mio mulino di Alphonse Daudet. Riadattò David Copperfield di Charles Dickens per La Scala d’oro, una collana per l’infanzia della casa editrice Utet con cui collaborava.
Nelle pagine della prosa per ragazzi di Milli Dandolo, il giovane lettore trova buoni consigli dati con garbo, trova l’invito a essere caritatevole verso il prossimo e compassionevole nei confronti dei poveri e dei malati, a rispettare la natura di cui viene esaltata la bellezza. L’insistenza sui valori di bontà, onestà e dolcezza, il modello del bambino moralmente ineccepibile che ricorre nelle pagine della scrittrice ricordano le opere di Edmondo De Amicis più che l’irriverenza giovanile di Gian Burrasca. Come in Pascoli, l’infanzia è un momento genuino, contrapposto al mondo degli adulti: un bambino è capace di vedere ciò che l’adulto non è in grado. Esiste però, in questi fanciulli “perbene”, anche un istinto alla ribellione e un desiderio di indipendenza che collocano la scrittrice in una linea di confine tra tradizione e innovazione, secondo Agrizzi: pur cercando di superare l’impianto pedagogico ottocentesco, nel tentativo di abbattere gli stereotipi, Dandolo non assume mai posizioni radicali ma continua piuttosto a proporre i modelli maschili e femminili socialmente accettati. La sua scrittura e il suo pensiero sono fortemente influenzati dalla dottrina cattolica e da una cultura che si fonda sul trinomio “Dio, patria e famiglia”.
“ La stessa tensione tra vecchio e nuovo anima i romanzi rivolti al pubblico femminile, ai quali è dovuta la popolarità di questa scrittrice dallo stile delicato e malinconico
La stessa tensione tra vecchio e nuovo anima i romanzi rivolti al pubblico femminile, ai quali, all’inizio del Novecento, è dovuta la popolarità di questa scrittrice dallo stile delicato e malinconico. Numerosi furono i romanzi dati alle stampe, dagli esordi negli anni Venti, con La nostra notte, Le stelle nel mare, Il figlio del mio dolore, fino agli anni Trenta cui appartengono È caduta una donna e Liberaci dal male. Negli anni Quaranta si colloca invece Croce e delizia, testo ricco di riferimenti storici precisi che lascia intuire un lavoro certosino di documentazione da parte della scrittrice e, nel contempo, un reale interesse per la musica coltivato fin dalla tenera età.
Nelle sue opere Milli Dandolo porta in scena storie d’amore e problematiche femminili dettate dal suo personale sentire o da convenzioni sociali ed esigenze editoriali. Le vicende sono popolate talora da donne “libere” e ribelli che si contrappongono a molte altre invece più remissive e rispettose dei canoni imposti dal comune sentire dell’epoca. Del resto, sottolinea Giovanni Genovesi nel 2003: “La donna dell’Italia del XIX secolo, sia allieva sia insegnante sia studiosa dell’educazione, è ancora del tutto soggetta a canoni politici, che la stessa donna saggista propugna, difende e addita come norme da seguire in nome di Dio e, quindi, della buona educazione”.
In molti dei suoi lavori la scrittrice tratteggia figure femminili che evolvono nel passaggio dalla giovinezza alla maturità: l’ingenuità adolescenziale lascia il posto alla presa di coscienza di un destino diverso da quello atteso, che rende infelici per amori impossibili e travagliati. La donna, per cui il ruolo di madre diventa centrale, deve essere incline alla sopportazione e alla rassegnazione, perché colei che va contro le convenzioni è rassegnata a essere perdente. All’attività di scrittrice e traduttrice, Milli Dandolo affiancava anche la collaborazione con riviste come La Gazzetta del popolo, L’Illustrazione italiana, La Lettura, La Cultura moderna, pubblicando per lo più brevi racconti e novelle a puntate. Nonostante si fosse ammalata di cancro, continuò a produrre fino alla fine. Il 27 settembre 1946.
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