CULTURA

Rime e fisica, gli amori della prima studentessa

A scriverle erano in molti, letterati e scienziati. C’era chi si rammaricava di non averla potuta incontrare, chi le inviava libri, chi le dedicava componimenti poetici. In calce alle lettere che le venivano indirizzate si leggevano i nomi di Bonifacio Collina, che all’università di Bologna l’aveva istruita sulle dottrine cartesiane; dell’amico Girolamo Silvestri, lettore di logica e metafisica nell’Accademia dei Concordi di Rovigo; di Giovanni Alberto Colombo, professore di astronomia all’università di Padova; e ancora di Giulio Pontedera, docente di botanica in quello stesso ateneo. Le epistole raccontavano la storia di incontri e amicizie, di una fitta rete di relazioni che Cristina Roccati aveva coltivato nel corso della sua vita. Le sue doti di poetessa erano universalmente riconosciute e i suoi componimenti ricercati. Eppure, nonostante in vita fossero i suoi versi a meritare dignità di stampa, è alla fisica che la giovane rivolse tanta parte dei suoi studi e delle sue fatiche.

Figlia di Giovanni Battista e Antonia Campo, appartenenti ad aristocratiche famiglie rodigine, Cristina Roccati apprese le lingue classiche e cominciò a comporre versi nella scuola allestita da Pietro Bertaglia di Arquà per i suoi allievi, l’Accademia minuscola. Di indole placida e amante della solitudine, si fece notare ben presto per le sue doti, tanto da essere ammessa – nel 1747 all’età di 15 anni – a una seduta dell’Accademia dei Concordi di Rovigo ed essere celebrata come poetessa. Nel novembre di quello stesso anno si trasferì a Bologna, dove venne inserita tra gli scolari artisti dell’università. Secondo la storica Marta Cavazza, che ne scrive negli Studi polesani del 2014, Cristina Roccati può essere considerata la “prima vera studentessa universitaria”. Antecedenti a lei, infatti, erano Elena Lucrezia Cornaro Piscopia a Padova e Laura Bassi nello Studio bolognese (che divenne poi anche docente) le quali avevano ottenuto il titolo dottorale, ma si erano formate seguendo le lezioni di precettori privati. Il padre della giovane invece, grazie a Giampaolo Pepoli che apparteneva a una delle famiglie più influenti della città, riuscì nell’intento di fare immatricolare la figlia. Fu un caso del tutto eccezionale. Si sarebbe dovuta attendere, infatti, la seconda metà dell’Ottocento perché le studentesse potessero frequentare a tutti gli effetti le lezioni accademiche: solo nel 1875 sarebbe stato emanato il regolamento Bonghi che avrebbe ammesso le donne all’università alle stesse condizioni degli uomini. Fino a quel momento potevano iscriversi solo in alcune sedi, ma ciò avveniva sempre a discrezione dell’ateneo. Certo, sottolinea Cavazza, c’erano differenze rispetto ai colleghi.

Roccati era arrivata a Bologna insieme a una zia e al sacerdote Piero Bertaglia ed è probabile che non frequentasse le lezioni pubbliche, ma i corsi che i professori dello Studio tenevano nelle loro abitazioni. Imparava la logica con Bonifacio Collina e si applicava agli studi di morale e di metafisica; seguiva i corsi di geometria di Giovanni Angelo Brunelli, assistente alla Specola, e si avvicinava a discipline come la meteorologia e l’astronomia. Studiava la lingua francese sotto la guida di Pietro Vert, senza tralasciare lo studio del latino e del greco.

Fu la fisica, tuttavia, ad assorbirla quasi completamente. Oltre a seguire le lezioni, Roccati partecipava anche alla vita studentesca e nell’aprile del 1749 si guadagnò la carica di “consigliatrice della nazione veneta”, il massimo riconoscimento per uno studente dell’ateneo bolognese. Pare inoltre che facesse una vita mondana particolarmente intensa e che frequentasse i salotti di almeno due famiglie in vista dell’epoca, i Pepoli e i Gozzadini, i quali, conoscendola come abile verseggiatrice, la invitavano a tenzoni poetiche o a produrre componimenti di circostanza. Dopo quattro anni dal suo arrivo, il 5 maggio del 1751, la giovane si laureò in filosofia, non senza aver prima discusso a Rovigo quattro tesi preliminari alla laurea – una di logica, una di fisica e due di metafisica – secondo quanto previsto dall’ateneo bolognese per gli studenti “stranieri”. La cerimonia si tenne nel Palazzo dell’Archiginnasio. Girolamo Silvestri, in una lettera a Ludovico Campo, descriveva il momento in cui la giovane ricevette il titolo dottorale: “[…] si meritò che né meno uno le negasse l’onore che ricercava. Anzi furono presi dalla meraviglia li più del suo valore e franchezza. Il promotor fu il chiarissimo sig. dott. Balbi e la sig. Bassi la levò di casa ed accompagnolla al Collegio ed ivi la presentò ai sigg. Collegiali. Dopo la ballottazione nella sala esterna piena di popolo il dott. Donelli le pose la laurea in capo ed il priore del Collegio volle distinguerla recitando egli, in vece del promotor Balbi, un’orazione latina in sua lode e in lode di Rovigo”.

Dopo la laurea, Cristina Roccati si trasferì a Padova per approfondire le proprie conoscenze scientifiche e dedicarsi allo studio della fisica newtoniana, oltre che del greco e dell’ebraico. Ebbe a maestro Giovanni Alberto Colombo, con cui avrebbe instaurato un rapporto di profonda stima e che non esitava a paragonarla alla matematica Maria Gaetana Agnesi, alla fisica Laura Bassi e alla poetessa Vittoria Colonna. Sebbene Cristina Roccati si sia fermata a Padova solo per pochi mesi – dall’ottobre del 1751 al maggio del 1752 – riuscì a tessere una fitta rete di rapporti con i personaggi più dotti e ragguardevoli della città. Tra i molti il poeta Clemente Sibilato, Giovanni Antonio Volpi sulla cattedra di lettere, Guglielmo Camposampiero, il già citato Giulio Pontedera e Giovanni Poleni, la famiglia Mussato.

Nel 1753, quando già era partita, fu ammessa anche all’Accademia dei Ricovrati di Padova. In città la giovane continuò a coltivare i suoi interessi letterari e iniziò a lavorare alle lezioni che le erano state affidate dall’Accademia dei Concordi di Rovigo. Nell’estate del 1751 l’Istituto delle Scienze (accolto quello stesso anno in seno alla Concordiana, così da affiancare la cultura scientifica a quella letteraria) aveva stabilito di avviare dei corsi pubblici da tenere di pomeriggio, due volte a settimana, da novembre a giugno. Un catalogo dei relatori e delle lezioni sarebbe stato affisso nei luoghi più frequentati della città per pubblicizzare gli incontri. Si sarebbe discusso di storia sacra ed ecclesiastica, di matematica, medicina teorica, lingua italiana, geografia, filosofia morale, anatomia, chimica e astronomia, agricoltura, storia naturale. E queste erano solo alcune delle discipline che sarebbero state impartite. La Concordiana si apprestava a divenire un centro di divulgazione culturale e un luogo d’incontro di nobili e borghesi. In questo ambiente ricco di stimoli, a Cristina Roccati fu assegnato l’insegnamento della fisica, impegno che la giovane studiosa mantenne per circa un ventennio. “Ella accettò ben volentieri l’incarico – scriveva Ugo Cessi agli inizi del Novecento – e subito si dedicò all’ufficio assegnatole inviando da Padova le prime due lezioni che il presidente (allora Ludovico Campo) fece conoscere ai concittadini”.

Le convinzioni della scienziata, secondo Maria Laura Soppelsa ed Eva Viani che ne scrissero nel 1999, affondavano le radici nell’opera newtoniana – di cui divenne appassionata divulgatrice – e nella produzione scientifica coeva. Rifiutava l’aristotelismo, in favore del copernicanesimo e della scienza galileiana. Il corso proposto da Cristina Roccati all’Accademia dei Concordi non sviluppava in modo omogeneo tutti gli argomenti della materia: mancava quasi completamente la fisica dei fluidi, il calcolo infinitesimale e probabilistico. Secondo Soppelsa e Viani alcune lezioni potrebbero essere andate perse oppure, essendo rivolte a un pubblico variegato, potrebbe essere sorta nel tempo la necessità di operare scelte diversificate. Nonostante ciò, la giovane dimostrava di avere nel complesso buone conoscenze naturalistiche, chimiche e geodetiche. Nel 1752 Cristina Roccati rientrò definitivamente a Rovigo, probabilmente a causa anche di problemi finanziari in cui si era trovato implicato il padre. Pur dovendo occuparsi degli affari familiari, specie dopo la morte del genitore, non mancò mai di dedicarsi ai suoi studi. Due anni più tardi fu eletta “principe” dell’Accademia dei Concordi con il compito di amministrare i beni dell’istituto e di occuparsi degli affari letterari, aiutata da figure minori come i consiglieri e i censori. Al momento della nomina il principe proponeva un argomento che sarebbe poi stato dibattuto dai soci nel corso della riunione successiva: la studiosa suggerì di soffermarsi su un tema interessante: Se sia più piacevole il tacere o il parlare. L’elezione di una donna così giovane – si consideri che Cristina Roccati all’epoca aveva 22 anni – in un ruolo di tale prestigio, non fu però ben vista da tutti, tanto che al momento della sua rielezione Anton Maria Manfredini decise di abbandonare la Concordiana e di fondare una nuova istituzione, l’Accademia degli Allegri. La giovane continuò a partecipare alle sedute straordinarie fino alla morte che la colse nel 1797.

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