CULTURA

La nuova alleanza tra musica e computer

Possiamo definirlo un colpo di fulmine, un’intesa che è continuata negli anni, una visione futuristica del rapporto tra musica e scienza. Se si vuole raccontare la storia dell’elettronica in Italia, bisogna prendere in considerazione la città di Padova e la figura di Teresa Rampazzi. Pianista, compositrice e insegnante, ha dedicato tutta la sua vita alla produzione e alla promozione di questo genere. In un convegno del 1980 al Conservatorio di Padova, Rampazzi affermò: “La differenza nel far musica oggi sta nel fatto che le vecchie macchine, ossia gli strumenti tradizionali, erano stati progettati per far musica. Le nuove macchine non sono nate per fare musica ma come ennesimo mezzo di potere capitalistico in tutti i campi. […] Ora sia chiaro che io non intendo parlare come una vecchia europea che vuole salvare valori umanistici, ma come una persona del suo tempo che intende utilizzare tutti i mezzi tecnologici atti a razionalizzare l’inconscio dal quale nasce l’arte, come Jósquin De Prés o Bach razionalizzavano con i mezzi della tecnica contrappuntistica la loro inconscia, o forse conscia, visione del mondo.”

Nata nel 1914 a Vicenza e diplomata al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano in pianoforte e composizione, Teresa scoprì nel 1952 la musica elettronica a Dramstadt, nel cuore della Germania, grazie agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik (conosciuti in Italia come “i corsi estivi di Darmstadt”), un’occasione in cui confrontarsi e definire il concetto di “vecchia” e “nuova” musica. In quella circostanza assistette agli esperimenti di Herbert Eimert, uno dei primi compositori di musica elettronica, che presentò diversi strumenti provenienti dallo studio della West German Radio di Colonia. Dopo essere stata colpita da un piccolo generatore di frequenza, Teresa capì che la sintesi del suono era la chiave per il superamento della rigidità della musica tonale.

Nel 1955 si trasferì a Padova e l’anno successivo entrò a far parte, insieme a Elio Peruzzi (clarinetto) ed Edda Pittan (violino), del Trio Bartòk, un progetto musicale che cercava di sensibilizzare il pubblico e di promuovere il genere d’avanguardia, eseguendo brani di artisti come Anton Webern e Alban Berg. In quegli stessi anni, Teresa si avvicinò al circolo Pozzetto, un punto d’incontro per intellettuali, artisti e musicisti guidato da Ettore Luccini che proponeva di rompere ogni forma di “provincialismo culturale” per offrire alla città di Padova esperienze legate alla cultura nascente. Teresa si impegnò a presentare al pubblico la Neue Musik, la nuova musica, che si stava sviluppando in Europa: tra i vari artisti che si esibirono in quel contesto, nel 1959 arrivò in città John Cage che, insieme a Rampazzi, propose una performance in cui poteva essere utilizzata qualsiasi superficie che emettesse un segnale sonoro.

La combinazione tra l’esperienza di Darmstadt e la musica informale di Cage spinse Teresa a esplorare nuovi territori. Nel 1964 conobbe Ennio Chiggio, esponente del Gruppo N, rappresentanza padovana dell’arte cinetica e programmata italiana. Nel manifesto del gruppo spiccava un approccio collettivo e non individualistico alle attività artistiche, ed era centrale lo studio dei fenomeni della visione e dei meccanismi cinetici. L’intenzione era di sperimentare nuovi materiali e mezzi per creare opere d’arte in cui lo spettatore fosse coinvolto sul piano percettivo e psicologico.

L’incontro fortuito portò entrambi gli artisti a cercare un’unione tra arte visiva e musica elettronica: nel 1965 Rampazzi e Chiggio fondarono il gruppo N. P. S., Nuove Proposte sonore, insieme a Memo Alfonsi e Serenella Marega. In una prima fase, l’obiettivo fu studiare e delineare il concetto di “oggetto sonoro” sotto un punto di vista strettamente scientifico e non artistico: il termine stava a indicare un evento acustico prodotto da un computer attraverso la programmazione dei singoli strumenti elettronici, evitando in questo modo il coinvolgimento della sfera emotiva, espressiva ed estetica nella composizione. Ognuno degli “oggetti” prodotti rimase anonimo, secondo una scelta ispirata all’idea di collettivismo (ogni strumento utilizzato infatti era di proprietà comune). Nel 1967, tuttavia, il progetto iniziò a dissolversi a causa delle divergenze tra Rampazzi, più “musicale”, e Chiggio, più “scientifico”.

Le Nuove Proposte sonore iniziarono così la loro seconda fase in cui giovani musicisti e ingegneri, tra cui Alvise Vidolin e Giovanni De Poli dell’Università di Padova, collaborarono nella definizione di un nuovo “oggetto”. I brani prodotti, che allora venivano firmati, erano il frutto di un approccio che univa l’analisi scientifica alla libertà musicale: ne è esempio Musica endoscopica, un viaggio sonoro realizzato per il documentario Gastroscopia, di Domenico Oselladore, professore dell’ateneo, che ha visto la collaborazione dell’Istituto De Angeli di Milano ed è stato presentato durante la Rassegna internazionale del Film scientifico-didattico dell’Università di Padova nel 1972. Merita di essere menzionata anche l’opera intitolata Immagini per Diana Baylon, un brano unico creato per le installazioni dell’artista Diana Baylon a Firenze.

Nel 1972 Teresa ottenne la cattedra del terzo corso in Italia di musica elettronica, al Conservatorio di Padova, concludendo così il capitolo delle Nuove Proposte sonore. In quel momento storico, la musica elettroacustica si muoveva su due fronti: mentre nei conservatori si privilegiava l’aspetto estetico e compositivo del genere, nelle università la ricerca scientifica e l’educazione informatica facevano da protagoniste. Il bisogno di unire queste due correnti si concretizzò a Padova nel 1974 con la convenzione tra il conservatorio e l’università.

A partire dall’inizio degli anni Settanta, l’ateneo, in particolare il Dipartimento di Ingegneria, cominciò a interessarsi alla computer music e alla sintesi vocale: il gruppo di studenti era formato da Alvise Vidolin, Giovanni De Poli e Graziano Tisato, sotto la guida del professor Giovanni Battista De Biasi. Non avendo uno spazio dedicato, inizialmente lavoravano negli uffici del Centro di Calcolo d’ateneo: solamente nel 1979 fu istituzionalizzato il progetto con il nome di Centro di Sonologia computazionale. A oggi, il lavoro del centro consiste principalmente in attività di ricerca, produzione e insegnamento, in un contesto di interdisciplinarietà tra ricercatori e musicisti.

Intervista a Laura Zattra, musicologa e studiosa di Teresa Rampazzi, e a Sergio Canazza, direttore del Centro di Sonologia Computazionale Unipd. Servizio di Francesca Bastianon, montaggio di Tommaso Rocchi

La collaborazione tra le due istituzioni dimostra come la determinazione e la passione per la musica di Teresa fossero forti: pur essendo sulla sessantina e avendo problemi di vista, non rinunciò ad approcciarsi alle nuove tecnologie e al computer che lei stessa definiva “il grande mostro”. Gli esperimenti musicali nati da questo incontro portarono anche a riconoscimenti internazionali, come nel caso di With the light pen, presentato nel 1977 al Concorso internazionale di Bourges, che le valse una menzione d’onore.

Nel 1984, dopo la morte del marito, Teresa si trasferì prima ad Assisi e poi a Bassano in una pensione per anziani, continuando la sua attività di compositrice in compagnia del suo sintetizzatore Yamaha DX7. Qui si spense nel dicembre del 2001. In molti definiscono Teresa Rampazzi come una donna del futuro, che ha saputo cogliere e afferrare saldamente gli stimoli musicali dal secondo dopoguerra in poi.

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