CULTURA

Le grandi battaglie per le donne lavoratrici

Il destino di Carmela Baricelli sembrava segnato. Imparare il mestiere di sarta, sulle orme di quanto aveva fatto la madre, e rassegnarsi a una vita che sarebbe trascorsa sempre uguale, tra un ricamo e un’imbastitura, acquisendo familiarità con le macchine da cucire, entrate nei laboratori sartoriali a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. In quegli anni, usando ago e filo, molte donne avevano potuto aspirare a una professione diversa rispetto a quella di domestica, ma non era ciò a cui ambiva Carmela. Il suo desiderio era studiare e quando la madre decise di mandarla in sartoria per apprendere il lavoro, non esitò a opporsi con veemenza, riuscendo a vincere tra le mura domestiche la sua battaglia per tornare a scuola.

Nata nel 1861 a Casalbuttano, in provincia di Cremona, da una famiglia di tradizione risorgimentale, recuperò molto in fretta gli anni di ritardo e bruciò le tappe del suo percorso formativo: nel 1879 aveva già ottenuto il diploma di maestra, nel 1887 si laureò all’Università di Pavia e tre anni dopo conseguì l’abilitazione all’insegnamento di lingua e lettere italiane nelle scuole magistrali. All’attività di docente, condotta per diversi anni a Cremona e poi a Pavia, affiancò ben presto quella di giornalista che le permise di portare avanti le sue battaglie in campo sociale.

Iniziò a lottare in prima persona per il miglioramento delle condizioni lavorative delle donne, organizzando scioperi nelle filande, contribuendo alla fondazione della Camera del Lavoro di Cremona e dirigendo la Lega per l’Emancipazione femminile. Iniziative, queste, che la misero in luce nell’ambito del Partito socialista italiano, a cui rimase affiliata per una parte della sua vita. Nel 1906 a Pavia fondò la rivista L’Alleanza. Rassegna per l’istruzione socio-politica delle donne e ne divenne la direttrice. La pubblicazione, redatta da sole donne e diventata un punto di riferimento importante nell’area democratica e socialista, proseguì quel percorso giornalistico al femminile che aveva avuto come antesignana Gualberta Alaide Beccari con La donna e fece di Carmela Baricelli una delle protagoniste del primo femminismo italiano.

Attraverso le pagine del giornale si portavano avanti le battaglie per l’estensione del diritto di voto alle donne, per la parità di salario, per la tutela della maternità e il diritto alla paternità, ma si affrontavano anche tematiche di più ampio respiro legate alla sfera dei diritti umani, della pace e del disarmo.

Proprio a causa di questo suo attivismo, nel 1912 fu trasferita a Padova. Fu uno spostamento forzato, che aveva il sapore di una censura, ma che tuttavia non indebolì le sue battaglie, ritenute ancora più necessarie quando arrivò in Veneto e si rese conto che quell’area d’Italia, rispetto al territorio lombardo e ad altre regioni del Centro-Nord, manifestava un notevole ritardo nella formazione di una coscienza collettiva e di genere. Una volta in città intensificò il suo legame con il giornale socialista L’eco dei lavoratori, con cui aveva iniziato a collaborare già nel 1900. Iniziò a scrivere con lo pseudonimo di Malvina, e proprio su questa rivista – le cui attività iniziarono nel marzo del 1897 per concludersi nel marzo del 1926 – Baricelli firmò diversi articoli tesi a formare una coscienza di classe che ancora non esisteva tra le lavoratrici e a risvegliare una maggiore capacità di associazionismo e di lotta. Nel volume Donne sulla scena pubblica: società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento, Nicoletta Pannocchia mette in luce il piglio energico con cui Carmela Baricelli sapeva organizzare iniziative e presenziare a conferenze in cui poneva sempre in primo piano il valore civile dell’istruzione popolare, il tema dell’emancipazione delle classi subalterne e l’esigenza di sostenere i diritti femminili.

L'insegnante e studiosa di storia Nicoletta Pannocchia approfondisce la figura di Carmela Baricelli. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Nella collaborazione con L’eco dei lavoratori spicca un’inchiesta, condotta personalmente dalla giornalista e docente lombarda, sulle condizioni di lavoro della donna nella provincia di Padova. Le testimonianze raccontano delle operaie impegnate nelle diverse realtà produttive locali: sottoposte a turni anche di 12 ore al giorno, ricevevano una paga di “pochissime lire” e multe frequenti anche per piccoli ritardi. In un articolo pubblicato il 10 gennaio del 1914, intitolato Le condizioni del proletariato femminile nella provincia di Padova, l’autrice descrive come fossero costrette a lavorare nella fabbrica dei bottoni e in quella delle caramelle, o le astucciaie e le cenciaiole. La situazione più insostenibile però è quella delle operaie assunte nelle filande di Ponte del Brenta che “lavorano dalle 5 e mezzo della mattina e per 12 ore, non compreso l’intervallo per mezzodì.  Per tale giornata percepiscono un massimo di L. 1.20 od L. 1.30; stanno in un ambiente umido e caldo, colle mani sempre nell’acqua bollente e il loro lavoro richiede una continua, esauriente attenzione. La loro giovinezza qui sfiorisce presto. Queste povere filatrici […] trascinano stancamente e miseramente la vita tra la casa e la filanda”. Si tratta di un’indagine che, seppure “brevissima e incompiuta”, fa emergere come la donna in ambito lavorativo sia “più che altrove, abbandonata allo sfruttamento industriale”, e percepisca “salari da fame già sorpassati ovunque il socialismo ha saputo trasformare la coscienza di classe tra le donne portandole ad una più equa valutazione del loro lavoro”.

A lasciare sconcertata Carmela Baricelli è soprattutto l’assenza di solidarietà tra le operaie che, pur accomunate dalle stesse condizioni di lavoro particolarmente difficili, avevano protestato per esempio contro la “tassa maternità”, introdotta per sostenere economicamente chi partoriva un figlio e non poteva rientrare subito al lavoro: si riteneva ingiusto infatti dover sborsare denaro in favore di altre donne, considerando immorale peraltro che questo vantaggio si estendesse anche alle madri non sposate. 

Era un quadro sconfortante che già in precedenza, nel giugno del 1913, l’aveva spinta a lanciare – sempre dalle pagine de L’eco dei lavoratori –, l’accorato appello Alle donne venete in cui spronava le lettrici a organizzare associazioni femminili sulla scia di quanto stava accadendo, con risultati migliori, in altre regioni d’Italia, come ad esempio in Lombardia, di cui Baricelli aveva esperienza diretta. Secondo Nicoletta Pannocchia, l’evidente debolezza del movimento socialista in area padovana (soprattutto della sua frangia femminile) era dovuta da un lato a ragioni di ordine generale, come la mancanza di significative concentrazioni industriali, l’abbondanza di manodopera e la presenza di un cattolicesimo molto radicato, dall’altro a motivi legati alla fisionomia stessa del partito e a un atteggiamento nei confronti delle donne che le voleva soggetti deboli e refrattari alla politica e alla difesa dei propri diritti. Un certo peso ebbe anche la vertenza del 1905 che nelle intenzioni avrebbe dovuto migliorare le condizioni di lavoro nella filanda di proprietà della ditta Kramer di Milano: l’esito negativo del procedimento costrinse, invece, molte operaie a trasferirsi dopo la perdita dell’impiego e rappresentò un enorme insuccesso per la Camera del Lavoro di Padova.

Carmela Baricelli non si dette per vinta. Per facilitare i contatti e gli scambi con le lettrici rese disponibile l’indirizzo della sua abitazione, uno stabile in via Tommaseo a Padova, nelle vicinanze della stazione ferroviaria. Questa decisione, probabilmente, dovette rivelarsi strategica dato che nel 1919 – come si legge nel settimanale, nella rubrica Atti e notizie del Partito – la sezione femminile socialista era in via di costituzione e le adesioni si ricevevano “presso la sede centrale del partito in via Porciglia”.

In questi anni molto era cambiato, sia nello scenario internazionale che nelle convinzioni personali di Baricelli. Durante il 1914 aveva preso le distanze dal socialismo, delusa dall’imporsi della corrente massimalista – che sosteneva un programma di trasformazione politica e sociale da attuare tramite l’azione rivoluzionaria – e amareggiata dal dilagare di pregiudizi maschili che, all’interno del movimento, ostacolavano il potenziale di azione e di militanza delle donne. Quello stesso anno fu nuovamente trasferita, questa volta a Torino.

Con lo scoppio della Grande guerra si spostò su posizioni interventiste, come accadde a molte femministe dell’epoca che videro nel conflitto un’opportunità per scardinare una rigida divisione dei ruoli e iniziare un percorso di maggiore integrazione sociale. Negli ultimi anni della sua vita Baricelli tornò a Cremona e si avvicinò alla fede religiosa: prese in affitto un appartamento all’interno dell’Istituto del “Buon pastore” dove accolse giovani abbandonate, occupandosi anche della loro istruzione. Morì il 14 aprile del 1946, cinque anni dopo aver pubblicato il volume dal titolo Ritorno alla fede sulle vie del Vangelo. Uno sguardo sul mondo, ritenuto il suo testamento spirituale.

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