CULTURA

L'attrice che per prima rubò la scena agli uomini

Attrice, drammaturga, accademica, poetessa, moglie e madre, donna colta, determinata ed emancipata, artista ammiratissima. Molto prima di Eleonora Duse, in piena epoca rinascimentale, la diva del teatro si chiama Isabella Andreini Canali e incarna una vera e propria rivoluzione, se si considera che all’epoca il palcoscenico era un privilegio riservato agli uomini.

Nata a Padova, presumibilmente nel 1562 (l’atto di nascita non è mai stato trovato), dalla famiglia veneziana Canali, Isabella vive pienamente il luminoso periodo della Commedia dell’Arte (la cui prima testimonianza risale al 25 febbraio 1545 proprio a Padova) e debutta giovanissima, calcando le scene già dall’età di sedici anni e legando, poi, la sua folgorante carriera al ruolo di Innamorata per la Compagnia dei Gelosi, guidata insieme al marito Francesco Andreini. Degli anni della giovinezza e della formazione si conosce molto poco, di lei si inizia a sapere di più dal momento in cui si afferma artisticamente, in età adulta. Attrice versatile, si fa ben presto notare e si mette alla prova: non si limita infatti a vestire i panni della prima Innamorata ma, dimostrando curiosità e ambizione, recita in pastorali, si cala in parti comiche e interpreta persino ruoli maschili, come quello di Aminta nell’opera di Tasso.

Nel 1585 Tommaso Garzoni la celebra nella Piazza universale di tutte le professioni del mondo, e nobili et ignobili, scegliendo per lei queste parole piene di ammirazione: “La gratiosa Isabella, decoro delle scene, ornamento de’ theatri, spettacolo superbo non meno di virtù che di bellezza, ha illustrato ancora lei questa professione, in modo che mentre il mondo durerà, mentre staranno i secoli, mentre havranno vita gli ordini e i tempi, ogni voce, ogni lingua, ogni grido, risuonerà il celebre nome di Isabella”.

La gratiosa Isabella, decoro delle scene, ornamento de’ theatri, spettacolo superbo non meno di virtù che di bellezza Tommaso Garzoni, 1585

Il suo talento viene esaltato nella cronaca di Giuseppe Pavoni del 1589 relativa alla scena della Pazzia, che la vede protagonista e narra la storia di Isabella e Fileno, di un amore contrastato dal padre di lei (con relativo piano di fuga dei due innamorati) e ostacolato anche dallo studente padovano Flavio, a sua volta innamorato di Isabella, il quale, fingendosi Fileno, la inganna portandola con sé. Quando Isabella si accorge dell’inganno, perde l’uso della ragione. “Come pazza se n’andava scorrendo per la cittade, fermando or questo or quello, e parlando ora in spagnuolo, ora in greco, ora in italiano, e molti altri linguaggi, ma tutti fuori di proposito”.

Per gli storici del teatro, Isabella Andreini rappresenta un caso di studi esemplare. Vita, arte e mito (che lei stessa contribuisce ad alimentare) si intrecciano, riuscendo a definire il profilo affascinante di donna e attrice coraggiosa e modernissima per il suo tempo. Nella sua figura sono strette insieme le questioni che riguardano lo statuto dell’attore di professione, l’eccezionale novità della presenza femminile in scena, la mitizzazione della figura attorica e la rivendicazione di un riconoscimento della professione dello spettacolo che la ponga alla pari dell’arte e della poesia, non trascurando la distinzione tra i comici nobili e i comici “vili” (saltimbanchi). Senza dimenticare il valore di testimonianza della Commedia dell’Arte, fenomeno complesso che mescola tante e diverse componenti, liquidando il fraintendimento rispetto a un suo carattere popolare.

Il legame di Isabella con Padova, la sua città natale, è centrale per coglierne l’identità e il percorso e la inserisce in un contesto culturale in fermento. Questo territorio ha avuto un ruolo cruciale per la nascita e l’affermazione del teatro moderno in un’epoca che ha visto mutamenti imprescindibili per i secoli a seguire: la concezione ed elaborazione dello spazio teatrale, che sarà quello dominante fino alle rivoluzioni del XX secolo, e la nascita del professionismo attorico.

Tornando indietro, all’inizio del secolo in cui visse Isabella, incontriamo la presenza eccezionale di Ruzante, un altro fenomeno senza eguali nella storia del teatro; la Loggia Cornaro a Padova, primo luogo teatrale moderno; poi la prima testimonianza scritta circa l’esistenza del teatro dei professionisti, le Compagnie dell’Arte, nel 1545; l’edificazione a Vicenza del Teatro Olimpico, inaugurato nel 1585; e la pubblicazione di trattati fondativi come quello di Serlio. Il critico Mario Apollonio colloca Isabella nel momento di origine di un percorso culminante in Eleonora Duse: un tragitto che sradica la figura dell’attrice dallo stereotipo delle meretrices honestae e inaugura l’immagine di una donna nobile, madre, moglie e poetessa, connessa all’icona aurea di attrice divina (immagine che il marito Francesco e il figlio Giovan Battista contribuirono a glorificare).

Di se stessa Isabella Andreini nel proemio delle Rime scrive: “E come nei teatri or donna e ora / uom fei rappresentando in vario stile / quanto volle insegnar Natura ed Arte, / così la stella mia seguendo ancora / di fuggitiva età nel verde aprile, / vergai con vario stil ben mille carte”. Oltre che alla recitazione, infatti, Isabella si dedica con passione alla scrittura (è autrice della pastorale La Mirtilla), e con particolare cura alla poesia: nel 1601 escono le sue Rime e, poco tempo dopo, con la Compagnia dei Gelosi, arriva in Francia, alla corte di Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV.

Dopo una tournée che ne conferma ed esalta la grandezza, Isabella riparte per far ritorno in Italia, ma nel mese di giugno del 1604, a Lione, durante il viaggio di ritorno da Parigi, incinta probabilmente per la nona volta, muore per un aborto.

La signora Isabella, bella di nome, bella di corpo e bellissima d’animo Francesco Andreini, ne "Le bravure del Capitan Spavento"

Con la sua morte inizia la costruzione del mito di un’attrice da trasformare in icona, da rendere immortale e divina. Onorata con funerali solenni, per lei viene coniata una medaglia che riporta il motto “aeterna fama”. Il marito Francesco Andreini le dedica un epitaffio in cui la definisce “donna devota, moglie virtuosa, artista e letterata”, e nelle Bravure del Capitan Spavento aggiunge: “La signora Isabella, bella di nome, bella di corpo e bellissima d’animo: Isabella mia dilettissima consorte (la quale fu lume e splendore di quella virtuosa ed onorata compagnia)”.

Dopo la sua morte viene sciolta la Compagnia dei Gelosi. Francesco Andreini riprende in mano la seconda parte delle Rime e, nel 1605, le pubblica. Si dedica poi alle Lettere e, infine, una decina d’anni più tardi, pubblica i Fragmenti di alcune scritture, con la collaborazione di Flaminio Scala.

In apertura delle Lettere trova posto una dedica a Carlo Emanuele I di Savoia, inconsapevole carta d’identità nella quale – come spiega anche Maria Luisa Doglio nel saggio Isabella Andreini, una letterata in scena – Isabella si definisce cittadina del mondo e non nasconde la sua fame di conoscenza (“per contemplar le stelle, la qual cosa non potendosi fare, se non per mezo del sapere ci fa conoscer, che ogn’uno che nasce, nasce con desiderio di sapere”), ripercorrendo le tappe della sua esperienza come letterata, partendo dalla Mirtilla (“mi diedi à comporre la mia Mirtilla favola boschereccia, che se n’uscì per le porte della stampa”) fino alle Rime (“dopò sudai nella fatica delle mie Rime”).

È qui che rivela il suo desiderio di dedicare più tempo alla scrittura, per distinguersi dalle donne intente “all’ago, alla conocchia, all’arcolaio” e “poiché ogn’uno desidera naturalmente d’haver in se stesso, e ne’ suoi parti, se non perpetua, almeno lunghissima vita”.


Si ringrazia Cristina Grazioli dell’Università di Padova che ha contribuito alla stesura dell’articolo

 

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