CULTURA

L'infermiera bibliofila che curava con i libri

Brillante studentessa prima, bibliotecaria e scrittrice poi. Ma anche figura esemplare di un’Italia che cambia. Amalia Vago, nata a Venezia il 23 febbraio 1886, non è soltanto una donna di cultura, impiegata nelle biblioteche di diverse città, crocerossina negli anni della guerra, scrittrice e traduttrice dei grandi classici della letteratura. Amalia Vago può essere riconosciuta come caso esemplare del percorso di emancipazione sul lavoro delle donne italiane agli albori del Novecento.

Figlia di Filippo e di Lucia Pallavicini, Amalia Vago rimane orfana di padre piuttosto giovane. Nel 1905 la madre, quando richiede per lei l’esenzione dalle tasse universitarie, dichiara di essere vedova e di poter contare esclusivamente sullo stipendio che percepisce come direttrice delle scuole comunali di Venezia; non può nemmeno far conto su quanto guadagna il secondo figlio Achille, impiegato presso il comune di Cremona, capace di badare con i propri guadagni solo al proprio sostentamento. Amalia, dopo aver frequentato per un anno l’Istituto di Studi superiori di Firenze, si trasferisce a Padova per ragioni familiari, “avendo bisogno di stare vicino alla famiglia” dicono i documenti; e qui trova alloggio in corso Garibaldi.

Si immatricola quindi al corso di laurea in filosofia e filologia della Facoltà di Lettere dell’Università di Padova. E, proprio nell’Ateneo patavino, conclude gli studi il 28 giugno del 1909 presentando una dissertazione dal titolo ‘Svolgimento del pensiero politico e civile nell’opera letteraria di Ugo Foscolo’. A 22 anni inizia subito la sua carriera nelle biblioteche governative come sottobibliotecaria e dall’aprile del 1910 viene destinata alla Biblioteca universitaria di Padova.

La guerra non ferma la sua attività e tra il 1915 e il 1918 è infermiera della Croce rossa e ispettrice per la fornitura di libri ai soldati. Secondo le ricerche della studiosa Liviana Gazzetta, durante la Grande guerra molte associazioni e strutture femminili organizzavano, su base volontaria, piccole biblioteche per i soldati al fronte come strumenti di sostegno morale e psicologico.

Amalia Vago, data la sua specifica competenza, esercitava questo ruolo insieme a quello svolto tra le file delle crocerossine. Ma è solo nel 1919, con la Legge Sacchi, che viene inquadrata con la qualifica di bibliotecaria. Nell’Italia liberale non è tanto l’ingresso alle facoltà universitarie a essere vietato, quanto piuttosto l’accesso alle professioni cui, con il medesimo titolo di studio, hanno diritto gli uomini.

Il suo rapporto con i libri, tuttavia, non si limita soltanto all’attività di bibliotecaria. Amalia Vago è anche saggista. Tra le sue opere più conosciute spicca la monografia ‘La sala di consultazione’, pubblicata nel 1941. Il manuale, composto basandosi sulla sua esperienza alla Biblioteca universitaria di Padova e poi alla Braidense di Milano, dedicato nello specifico alla riorganizzazione di questo spazio “che – scrive – risponde alla necessità di separare gli studiosi seri, che hanno bisogno di quiete e di raccoglimento, dalla massa dei lettori comuni, i quali involontariamente portano, anche solo con il loro numero e con il loro andirivieni, rumore e distrazione nella sala comune”.

Vago riesce a esprimere una vera e propria visione personale della cultura e degli strumenti pubblici a suo servizio, da una parte lavorando all’ordinamento e alla catalogazione di fondi importanti delle biblioteche in cui svolge la sua attività, dall’altra, in particolare, teorizzando la sala di consultazione come sala riservata, a disposizione degli studiosi e non degli utenti generici. “Circa le stesse sezioni – scrive – ma con lo stesso criterio di maggiore concatenazione tra loro, concesso dalla completa disponibilità di spazio, furono adottate nella Biblioteca universitaria di Padova, quando, nel 1912, essa fu trasportata dal vecchio nel nuovo edificio, dove furono create tre sale di consultazione: la sala di consultazione propriamente detta, la saletta speciale per lo studio dei manoscritti, e la sala di lettura delle riviste”.

Studiosa appassionata di letteratura italiana e tedesca, Amalia Vago scrive anche poesia, pubblicando alcuni volumetti in versi tra cui ‘Attimi’ e ‘Il diario dell’anima’; impegnata inoltre nella traduzione di opere classiche come le Liriche scelte di Goethe e l’Antologia lirica di Heinrich Heine. Collabora con riviste e giornali tra cui il Il secolo XIX dove pubblica i resoconti delle iniziative culturali e artistiche che organizza personalmente, come segretaria prima e direttrice poi (dal 1948 al 1966), per il Circolo “Amici di Santa Margherita Ligure”.

Dopo Padova, Amalia Vago lavora anche alla Biblioteca nazionale di Torino e in quella estense di Modena. Nel 1924 viene trasferita alla Braidense e per alcuni anni è impegnata come ispettrice dell’annessa Soprintendenza bibliografica per la Lombardia. Promossa bibliotecaria capo nel 1936, declina per ragioni di salute l’offerta della direzione della Biblioteca universitaria di Pavia e, verso la fine del 1939, dopo un lungo periodo di aspettativa, chiede il collocamento a riposo e si trasferisce con il fratello a Santa Margherita Ligure.

Qui promuove nel 1940 la fondazione della biblioteca civica che dirigerà per molti anni e nel 1962 organizza uno dei primi corsi di preparazione per l’impiego nelle biblioteche popolari e scolastiche. A quella di Santa Margherita Ligure dona la casa in cui abitava, che ne diventa la sede dal 1958.

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